La morte nel salotto. SE ripubblica “Racconti” di Kafka

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La tentazione di ascoltare le reazioni della famiglia Samsa alla Metamorfosi di Gregorio è più forte ad ogni rilettura. Sistemarsi non visti nella cucina dove ristagna l’odore di latte bruciato per spiare meglio la crescente impazienza del padre, il panico sottile della madre e della sorella Grete, per assorbirne lo stato d’animo e assumerne il punto di vista. La pioggia dal crepitio monotono, al di là dei vetri, e il grigiore del mattino ci colano negli occhi. E’ l’ora di colazione, il Signore e la Signora Samsa, seduti a tavola insieme alla figlia, aspettano che Gregorio si alzi e li raggiunga. Gregorio rischia di far tardi al lavoro e la preoccupazione aumenta, non tanto per questioni di sollecitudine umana quanto per il pericolo di veder crollare l’unico, indispensabile sostegno economico della famiglia. Stringendosi in scialli e vestaglie i tre si accostano spaventati alla porta della camera per mettere premura al presunto dormiente, visto che nel frattempo si è concretizzata in corridoio, altezzosamente minacciosa, la presenza di un Procuratore in abito scuro inviato dalla Ditta.

Pannelli ricoperti di carta da parati macchiata di untume, di fumo, di umidità, scivolano formando prospettive interne sempre più inquietanti e cupe: un labirinto di spazi e angoli in continuo movimento.

Quartiere Ebraico di Praga

All’aprirsi della porta, fra sibili che sembrano vagiti o lamenti e fruscii, si manifesta la mutazione inaudita che lo sgomento, il terrore dei familiari – più, naturalmente, il racconto in soggettiva del risveglio di Gregorio – ci fanno intuire: il bruno corpo depresso in senso dorso-ventrale, le antenne filiformi, le zampe sottili, i palpi mascellari, gli ocelli, il capo ipognato.

Nessuno può o vuole occuparsi del mostro, del malato che non ci mette la volontà, che è fuggito da troppo pesanti responsabilità umane, di questo Essere che con la sua presenza ruba ai congiunti di Gregorio la memoria di ciò che il giovane era “prima” della catastrofe. Neppure la madre sa superare la ripugnanza e la paura e quasi impazzisce alla vista dello scarafaggio.

Soltanto Grete conserva lo slancio affettivo che le fa riconoscere nel povero insetto il fratello perduto e all’inizio cerca di accudire e nutrire il “mostro”. Intuiamo quali alimenti possano allettare lo scarafaggio: non uova sode, insalata e patate al burro, bensì tutte le cose guaste e il latte inacidito (quello lo succhia in un momento).

Non rifuggite questo capolavoro – in particolare nella traduzione cristallina di Giorgio Zampa, contenuta nel volume SE che raccoglie tutti i racconti pubblicati in vita da Kafka –, chi avrà a lungo vissuto accanto al dolore e ne avrà a sua volta provato, comprenderà i segnali e i sentimenti di Gregorio: il suo nascondersi sotto il letto per la vergogna, il desiderio di affacciarsi alla finestra – perché lì fuori c’è…il fuori! Il fiume, il sole, i canottieri, le ragazze in costume che osservava ogni domenica –, la solitudine avvilente, la percezione del disprezzo altrui, la prigionia dentro una stanza sempre più buia e angusta (la caverna di un orco) – in cui filtra una striscia di luce giallastra solo quando qualcuno apre la porta –, la nostalgia crescente del salotto, delle voci umane, della musica di Grete. La necessità, infine, di morire (queste creature non vivono a lungo…troppo strane…troppo complicate…anche dentro), davanti al definitivo rifiuto del nucleo familiare, quando il suo inaspettato ingresso nel salotto induce a una fuga precipitosa gli ipocondriaci e sussiegosi pensionanti, nonché il fidanzato di Grete.

Vorrete, infine, proteggere le spoglie di Gregorio, raccoglierne i resti – pochi, negli ultimi tempi è diventato sempre più piccolo – in un sacchetto nero per l’immondizia e portarli fuori. Affinché almeno quel giorno veda un po’ di sole.


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