‘Viva la vida!’ Splendori e orrori della vita di Frida Kahlo, con una straordinaria Pamela Villoresi in palco

1 0

Otto giorni prima di morire Frida Kahlo dipinge “Viva la vida”, natura morta con rosseggianti e succulente angurie. E’ il 1954. A soli 47 anni questa donna, che è riuscita ad amare la vita pur trafitta e ingabbiata nel corpo, ma non nell’anima, ha lasciato al mondo, che dipingeva con pastosa esuberanza di colori e forme primitive, le sue opere, testimoni di una ars vivendi che ci scuote ed esorta ad amare la vita qualunque cosa accada. Tutto questo esoda in un’opera teatrale che porta il nome del suo ultimo quadro. Difficile staccarsi emotivamente dallo spettacolo “Viva la vida!”, dove la forza e finezza interpretativa di una delle attrici più dotate del teatro italiano ci ha trascinati, avviluppati, coinvolti, soggiogati, offrendo uno spaccato sintetico e incisivo di un’artista entrata nella leggenda. Tratto dall’omonimo romanzo di Pino Cacucci, che definisce Frida l’anima profonda del Messico, adattato e diretto da Gigi Di Luca, lo spettacolo, di alto profilo, si presenta nella sua originalità sin dalla prima scena. In una cupa scenografia di specchi e vetrate (che richiamano il grande specchio sul soffitto del suo letto a baldacchino dove Frida giaceva immobile dopo le innumerevoli operazioni a cui fu sottoposta), emerge la voce fuori scena di Pamela Villoresi-Frida che comincia a raccontarsi. “Sono nata sotto la pioggia…sono cresciuta sotto la pioggia…una pioggia di lacrime…”. Al centro della scena si staglia una poltrona reclinabile di spalle al pubblico su cui la donna è distesa. La affiancheranno per tutta la durata dello spettacolo altre due donne: una ha la voce potente di Lavinia Mancusi nelle vesti di Chavela Vargas, l’ultima amante della grande pittrice; l’altra, Veronica Bottigliero, è una muta, ma significativa presenza, molto somigliante a Frida, che dipinge e orna il suo corpo. Non la lascia mai. E’ la Pelona, la morte. Sono donne dal taglio rivoluzionario, unite dalla forza dell’amore per la vita.

In un crescendo di toni artatamente variegati si dispiega il drammatico, eccezionale destino di una delle più grandi pittrici del ‘900. Di origine etniche complesse, tedesco-ungheresi e messicane, messicana di nascita, colpita da poliomelite (in realtà spina bifida) a 6 anni, a 18 rimane vittima su un autobus di un terribile incidente stradale che sconvolgerà la sua vita, strazierà il suo corpo inesorabilmente, trascinandola in un’oscillazione perenne tra la vita e la morte, il dolore e la gioia. L’ostinazione del suo animo guerriero la sostiene in una sfida al destino senza esclusione di colpi. Subisce 32 operazioni, ma caparbia e ribelle nel suo corpo ferito, mutilato, chiusa per anni in un’implacabile ingessatura prima in ospedale e poi nella sua Casa Azul, trasformerà questa tragedia in linfa vitale. Nell’immobilità e nella sofferenza inizia a dipingere. La disgrazia diventa un veicolo di creatività che la porterà alla sublimazione del suo dolore nel sogno dell’arte: la sua àncora di salvezza. Dipinge se stessa e il suo calvario inizialmente, l’unico soggetto possibile nella solitudine della sua stanza. Una serie di autoritratti dove appare vestita nel rispetto della tradizione del suo popolo. Finalmente si rimette in piedi, accompagnata sempre da dolori insopportabili, con quella potente forza di volontà che la caratterizza; conosce l’illustre pittore  muralista Diego Rivera al cui vaglio sottopone i suoi dipinti, se ne innamora, lo sposa e condurrà tutta la sua vita accanto a lui con alti e bassi, abbandoni e ritorni, tradimenti reciproci, dipingendo, bruciando di fede comunista (nel ’28 si era iscritta al Partito Comunista Messicano di cui Rivera era presidente) e di amore-odio per Diego, con cui vorrebbe disperatamente avere un figlio, senza riuscirci. Passionale, ribelle, sovversiva, ama riamata liberamente donne e uomini, tra cui Trockij e André Breton, ama la sua pittura, ama la vita con i suoi eccessi, nel bene e nel male, nonostante tutto, nonostante il suo corpo infermo, le sofferenze del corpo e del cuore, lottando strenuamente con la Pelona, convivendo giorno dopo giorno con il dolore, tra morfina e alcool, fino alla resa estrema, fino ad assurgere a icona nell’ultimo quadro vivente, dietro una vetrata trifora, il volto agghindato e contornato di bianchi merletti, potente e silente.

Il pregio di questo monologo sta nella felice sinergia di vari elementi che hanno trovato un’univoca direzione nella regia vigorosa, nella forza del testo, nella magia dell’interpretazione della Villoresi, nell’armonia del canto melodioso delle canzoni della Vargas in scena, nella raffinatezza degli arredi scenografici, semplici ma di grande effetto, nella rappresentazione delle opere dell’artista in scena non banalmente come copie dei quadri, ma segni tracciati dalla body painter sul corpo di Frida, con effetti di grande suggestione. Coinvolgente, trainante, umana, materica, trasudante brama di vita, la Villoresi ha scavato nelle profondità del suo personaggio, incarnando la punta di diamante di una pièce che onora la Kahlo e il linguaggio teatrale scelto per rappresentare degnamente la sua alchemica trasformazione del piombo in oro.

VIVA LA VIDA!

liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Pino Cacucci
progetto, adattamento e regia Gigi Di Luca
con Pamela Villoresi
e con Lavinia Mancusi (Chavela Vargas, musiche di scena)
Veronica Bottigliero (La Pelona, body painter)
scene Maria Teresa D’Alessio
costumi Roberta Di Capua, Rosario Martone
assistente alla regia Valentina Enea
direttore di scena Sergio Beghi
produzione Teatro Biondo di Palermo

 

Al Teatro Stabile di Catania fino a Domenica 13 Marzo

‘Viva la vida!’ Splendori e orrori della vita di Frida Kahlo, con una straordinaria Pamela Villoresi in palco


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21