Sto valutando le dimissioni da cittadino-elettore

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È una provocazione, sì, lo è e lo vuole essere: sto valutando seriamente le dimissioni da cittadino-elettore. Le sto valutando per esprimere il mio sconcerto, la mia rabbia e la mia frustrazione in maniera del tutto pacifica, come è giusto che sia, ma al tempo stesso netta e determinata. Lo scrivo perché penso che il ruolo di noi giornalisti e intellettuali, in un momento così delicato, sia farci sentire. E farci sentire significa anche prendere posizione. In maniera pacata ma fermissima. Con tutto il rispetto per la Corte costituzionale, ci mancherebbe altro, penso infatti che la bocciatura dei due referendum riguardanti eutanasia e cannabis costituisca un messaggio drammatico per i cittadini, in particolare per le giovani generazioni. Non entro nel merito della decisione ma, avendo qualche nozione di diritto, mi permetto di sollevare più di un legittimo dubbio. E, soprattutto, affermo con piena convinzione che non ci si può continuare a lamentare della scarsa partecipazione dei giovani alla vita pubblica, peraltro un dato non vero, se poi li si boccia e li si respinge ogni volta che si battono concretamente per un oniettivo più che condivisibile.
È accaduto in Parlamento con l’affossamento del DDL Zan, quando abbiamo assistito alle scene, sinceramente incresciose, di parlamentari che si abbracciavano e festeggiavano come se avessero vinto i Mondiali per aver impedito l’affermazione di un diritto. Ed è accaduto in questi giorni con il no a due quesiti che avrebbero reso il Paese più civile e moderno, decretando oltretutto l’intollerabile disparità fra chi può permettersi, se malato terminale o afflitto da malattie gravissime, di andare a morire in Svizzera e chi invece si vede costretto a forme di suicidio ben più strazianti. Spiace dirlo a una certa categoria di bigotti, ma quella di Welby non è vita, come non lo era quella della povera Eluana Englaro. Bisognerebbe trovarsi in quella situazione o avere un amico o un parente in quelle condizioni per capire davvero cosa si provi: non lo auguriamo a nessuno, ma almeno noi ci sforziamo di comprendere la sofferenza e lo strazio di chi non riesce a muovere più nemmeno un muscolo o si vede obbligato ad assistere al lento e inesorabile spegnersi di una persona che ha amato quanto e più di se stessa. Per quel che concerne l’uso della cannabis, invece, la diffusione continuerà senza dubbio, con la non piccola differenza che le mafie potranno compiere ancora affari d’oro, alimentando i loro profitti luridi e seguitando a usare i proventi dello spaccio per tenere sotto scacco il Paese.

Sulla giustizia, poi, per la prima volta in vita mia, ho deciso di astenermi. Che la magistratura debba autoriformarsi e allontanare da sé le notevoli ombre che la gravano ormai da tempo non c’è dubbio. Strumentalizzare il discorso di Mattarella per difendere la volontà di alcuni di spuntare le unghie ai magistrati con la schiena dritta, al contrario, è un atto che si commenta da solo. Che tutto questo accada a trent’anni da Tangentopoli e dalle stragi di mafia in cui furono uccisi Falcone e Borsellino rende l’idea dei tempi che stiamo vivendo. Aggiungo che, se questi referendum fossero già stati approvati, processi come quello della Diaz avrebbero rischiato un esito diverso. E proprio perché ho avuto l’onore di conoscere le persone straordinarie che se ne occuparono, la loro saggezza e la loro rettitudine morale, avverto il dovere civico di ringraziarli ancora una volta per il coraggio e la dignità che dimostrarono, già all’epoca posta severamente sotto attacco da chi avrebbe auspicato un’altra conclusione, specialmente in Appello e in Cassazione.

Mi asterrò anche per difendere l’articolo 3 della Costituzione, secondo cui “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”. L’articolo 3 è considerato dai migliori giuristi italiani la chiave di volta della Carta, il cardine del cosiddetto metadiritto, il capolavoro giuridico che consente alla Costituzione di aggiornarsi ed estendere i diritti in base all’evolversi dei tempi, non certo di restringere gli stessi per venire incontro ai desiderata di una vulgata retrograda e autoreferenziale.
Mi asterrò in nome dei ragazzi e delle ragazze che, con le loro manifestazioni dal basso, stanno difendendo il diritto a una società più giusta. E mi asterrò con un dolore enorme, ribadendo che senza una legge elettorale all’altezza, con al centro le preferenze, ossia il sacrosanto diritto di scegliere i nostri rappresentanti in Parlamento, e senza alcune proposte radicali e indispensabili per difendere la civiltà minima del Paese, dall’eutanasia alla cannabis ai diritti civili, senza tutto questo, sto valutando seriamente la possibilità di rassegnare le dimissioni da cittadino-elettore. Perché a farmi prendere in giro non ci vengo più. Non sono più disposto a scegliere il meno peggio, il voto utile e altri compromessi al ribasso che hanno privato il popolo della sua sovranità e reso le istituzioni dei bunker. Una sola richiesta ai decisori politici: non vi azzardate a lamentarvi per l’astensionismo che cresce a dismisura. È ciò che molti di voi, evidentemente, vogliono o, comunque, non sono in grado di contrastare. E ribadisco: non prendetevela con i giovani apatici e disinteressati perché non è certo colpa loro se non vengono mai ascoltati né rispettati. Data la ricorrenza di questi giorni, mi viene voglia, in conclusione, di citare un grande magistrato come Borrelli, il quale, nel 2002, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, pronunciò un’esortazione profetica: “Resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave”.

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