Tra referendum ammessi e bocciati. Ora il problema e’ l’einaudiano: “conoscere per deliberare”

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Il presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato ha sentito l’esigenza di tenere una conferenza stampa per chiarire come si è arrivati alle decisioni sugli otto referendum: la possibilità di pronunciarsi su cinque quesiti relativi a varie materie inerenti la giustizia; tre bocciature: uno relativo alla responsabilità diretta del magistrato; e gli altri due, su eutanasia e cannabis.

Amato dice chiaro e tondo che questi ultimi due quesiti sono stati scritti male: “Dunque non era un referendum sull’eutanasia. Era un referendum sull’”omicidio del consenziente”. E per quello sulla cannabis: come si fa a presentare un quesito sulla cannabis che non riguarda la cannabis, ma le droghe pesanti?

Il referendum era sull’omicidio del consenziente, che sarebbe stato lecito in casi ben più numerosi e diversi dall’eutanasia, spiega Amato. L’altro referendum è stato bocciato perché “non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze che includono papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali… Il quesito era articolato in 3 sotto quesiti. Il primo relativo all’articolo 73 comma 1 della legge sulla droga prevede che scompare tra le attività penalmente punite la coltivazione delle sostanze stupefacenti di cui alle tabelle 1 e 3, ma la cannabis è alla tabella 2, quelle includono il papavero, la coca, le cosiddette droghe pesanti – già questo è sufficiente per farci violare obblighi internazionali plurimi che abbiamo e che sono un limite indiscutibile dei referendum. E ci portano a constatare l’inidoneità dello scopo perseguito“.

Amato, con la sua “riflessione” muove dunque un rimprovero pesante ai promotori di questi due referendum.

In verità in questo è confortato anche dal giudizio di molti giuristi che, prima delle sentenze, non hanno nascosto la loro perplessità nel leggere come erano formulate le due richieste referendarie. Si potrà vedere (e capire) meglio quando saranno rese note le motivazioni delle sentenze. Ci si può rammaricare per il fatto che il popolo italiano non si può esprimere su due questioni molto sentite; è pur vero che ci possono essere argomenti validi e seri, alla base di queste bocciature.

Ora, almeno in teoria, a primavera si voterà per cinque quesiti, tutti per tema la giustizia; il via libera della Corte costituzionale consentirà di poterci esprimere sulla cosiddetta legge Severino sulla incandidabilità e decadenza di parlamentari e uomini di governo condannati a 2 anni; sulla separazione delle carriere dei magistrati; in materia di custodia cautelare; sulle modalità di candidatura per il Consiglio Superiore della Magistratura. Si voterà in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno prossimi. Se prima del giorno in cui è previsto lo svolgimento del referendum il Parlamento abroga le norme oggetto della consultazione, l’Ufficio centrale per il referendum dichiara che le operazioni relative non hanno più corso.

Al di là dell’astrusità apparente dei quesiti, è bene ribadire che riguardano aspetti centrali e importanti dell’organizzazione civile e sociale della nostra società: la giustizia, come viene o non viene amministrata. Per questo giornalisti e operatori dell’informazione dovrebbero sentire come dovere assicurare una informazione esauriente, e completa.

Non si deve mai smarrire una frase chiave contenuta nelle prime pagine de “Le prediche inutili” del secondo presidente della Repubblica Luigi Einaudi: «…Dico solo: non sappiamo nulla e alle nostre deliberazioni manca il fondamento primo: conoscere. Giova deliberare senza conoscere?…».

Le Prediche inutili” Einaudi le pubblica a dispense, dalla fine del 1955, le riunisce in volume nel 1959. Moniti che non hanno perso attualità, e in particolare quello sul diritto alla conoscenza. Ancora: «…gli uomini liberali e quelli socialisti (o radicali, o progressisti)… vogliono medesimamente che l’uomo sia libero di pensare, di parlare, di credere senza alcuna limitazione, sono parimenti persuasi che la verità si conquista discutendola…». Se ne può ricavare che chi non coltiva questa aspirazione, alla conoscenza, alla verità conquistata con discussione e confronto, non è propriamente liberale (o socialista, o radicale, o progressista). Soprattutto si ricava che una democrazia si fonda su due pilastri, senza i quali affonda: la certezza del diritto; e il diritto alla conoscenza. L’uno nutre l’altro; l’uno presuppone l’altro. L’uno muore, se manca l’altro.

Quello attuale è un mondo con una pluralità di fonti informative come mai in passato è accaduto di averne. Una Babele in cui non è facile orizzontarsi. Il servizio pubblico radiotelevisivo, più di ogni altro strumento informativo, ha dei “doveri”, deve “sentire” dei doveri. I numerosi dirigenti dell’ente radio-televisivo pubblico: la presidente Marinella Soldi; l’amministratore delegato Carlo Fuortes; i consiglieri di amministrazione Simona Agnes, Francesca Bria, Igor De Biasio, Alessandro Di Majo, Riccardo Laganà; ma anche tutti gli altri dirigenti, quelli che “lavorano” e “governano” quell’immensa macchina informativa/culturale: Diego Antonelli, Gaetano Barresi, Maria Berlinguer, Alessandro Casarin, Stefano Coletta, Antonio Di Bella, Franco Di Mare, Monica Maggioni, Andrea Montanari, Mario Orfeo, Sigfrido Ranucci, Gennaro Sangiuliano, Roberto Sergio, Andrea Vianello… Sono alla guida di un “qualcosa” che si chiama “servizio pubblico”. Cosa intendono fare, da subito, per garantire e tutelare il diritto di tutti di “conoscere per deliberare”? Per colmare quel grande deficit informativo che finora c’è stato. Questo al di là delle opinioni, legittime tutte, che ciascuno di noi può avere sui quesiti referendari.  


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