Charlotte Perkins Gilman, un’utopia che muove le montagne

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John Robertson è un  filologo statunitense di venticinque anni, specializzato in lingue antiche, che nel 1911 ha l’opportunità di partecipare a una spedizione in India e in Tibet per conoscere popolazioni antiche, scritture sacre, usanze tradizionali. Durante la traversata dell’Himalaya, turbato forse dalla notizia, giunta fortuitamente al suo accampamento, di una nuova religione che si sta diffondendo nel suo paese, “accolta con folle entusiasmo dalle donne”, durante la notte cammina nel sonno e precipita in un burrone. Frenato nel volo dalla vegetazione, viene soccorso da una popolazione locale. Avendo perso completamente la memoria, vive presso  questa popolazione per trent’anni, fin quando la sorella Nellie, che non ha mai smesso di cercarlo, lo ritrova. Al momento dell’incontro John subisce uno choc e un trauma cranico in seguito alla caduta provocata dalla choc e recupera la memoria, ma è come se avesse ancora venticinque anni: nella sua vita mancano trent’anni.  A rendere la situazione veramente critica però è che quest’uomo che si identifica con un cittadino americano di venticinque anni, ma che in realtà ne ha cinquantacinque, al suo rientro in patria e già sulla nave con cui fa ritorno, deve affrontare la realtà di una serie innumerevole di cambiamenti poiché nel suo Paese, nell’arco dei trent’anni, è avvenuta una inimmaginabile rivoluzione radicale di tutta la società.

Questo l’antefatto del libro di Charlotte Perkins Gilman, Muoviamo le montagne, Le plurali 2021, romanzo pubblicato originariamente nel 1911, dopo essere apparso a puntate nella rivista mensile “The Forerunner”, creata dall’autrice per discutere le questioni sociali che le stavano a cuore e che scrisse e pubblicò interamente da sola dal 1909 al 1916. Testo un po’ trascurato anche  in ambito anglosassone, “Muoviamo le montagne” è il primo volume di una trilogia composta da “Herland” (1915) e “With her in Ourland” (1916), anch’essi pubblicati a puntate prima di essere stampati in volume. Ma già all’uscita di questi testi Gilman era  un’intellettuale nota per la sua attività di conferenziera e per il volume “Women and Economics” del 1898 sul rapporto tra uomini, donne ed economia e basato su un’idea di forza della collettività per un miglioramento delle condizioni lavorative e personali di uomini e donne. La relazione tra mondo maschile e femminile e tra sfera privata e fuoriuscita delle donne nella sfera pubblica era già stata metaforizzata dalla scrittrice nello straordinario racconto sulla depressione postparto “The Yellow Wallpaper” pubblicato nel 1892 nel “New England Magazine” e in Italia, in diverse edizioni dagli anni Settanta e Ottanta del Novecento, col titolo “La carta da parati gialla”, che è tutt’oggi uno dei lavori più noti dell’autrice.

“Muoviamo le montagne”, pur mostrando i suoi anni, è un testo interessante per approfondire la scrittura utopica e progressista di Gilman e nonostante la sua età offre molti spunti di riflessione e paralleli con la situazione attuale in particolare su ambiente, lavoro, tempo libero, educazione, divisione dei ruoli; ci consente inoltre di ritrovare l’origine di tante idee che oggi ci appartengono e di collegare il testo a certa fantascienza attuale del genere “Climate Science Fiction”.

Dopo la prima pagina, scritta in terza persona, il testo prosegue in prima persona col racconto di John che narra il suo graduale incontro con il mondo nuovo che si è andato costituendo nel suo paese, prima attraverso i cauti e graduali racconti della sorella, del cognato e dei nipoti, poi attraverso alcune escursioni sul territorio e incontri con persone di cultura con cui i familiari lo mettono in contatto per dargli maggior consapevolezza di quanto avvenuto in sua assenza e fargli accettare il cambiamento. Il principale cambiamento di cui Nellie lo mette subito a parte è quello avvenuto nelle donne e nel loro rapporto con gli uomini e la società. Le donne si sono “ risvegliate” e sono diventate votanti. Diversi sono gli utopisti che vengono citati nel libro e il cognato Owen citerà la teoria di Ward per spiegare cosa significhi il discorso di Nellie sulle donne risvegliate e ciò che ne è seguito: “La donna è il modello esemplare del genere umano; l’uomo è il suo aiutante. E’ stabilito oltre ogni dubbio”. Nella nuova società le donne possono svolgere qualunque professione anche in ruoli apicali, possono realizzarsi sia professionalmente che economicamente e sono fondamentali nel funzionamento dell’intera società. Si è affermata comunque una naturale divisione del lavoro tra uomini e donne, gli uomini fanno quasi tutto il lavoro manuale, le donne in generale preferiscono i lavori amministrativi e costruttivi. Le donne si sono risvegliate nel senso che hanno capito di essere esseri umani e non una proprietà, essere mogli non ha più il significato di prima, non c’è più il concetto di appartenenza al marito, una donna continuerà a lavorare anche se diventerà madre. Ogni donna che lo desidera potrà essere madre, ma se vuole prendersi cura dei figli dovrà avere un diploma, perché vi è una nuova scienza dell’Allevamento Umano, di cui si occupano il Dipartimento dell’Allevamento dei bambini e il Governo. Owen ammette che tutto ciò è in fase sperimentale, ma i risultati sono positivi. John con grande diffidenza e resistenza alle molte novità continua la sua esplorazione di una realtà che ha totalmente rivoltato ogni aspetto della società vittoriana. La società è organizzata secondo principi socialisti, o meglio , come dice Nellie, è andata oltre il socialismo. Non c’è più la povertà, nel 1913 è stata istituita la Commissione per l’efficienza umana, la società si è fatta carico del lavoro di umanicultura, innalzando il livello degli esseri umani, diffondendo una nuova concezione del lavoro come funzione sociale fondamentale, idea che arrivò con la nuova religione e le nuove votanti. E’ cambiato il modo di percepire il lavoro cambiandone i tempi, la qualità: ognuno deve lavorare due ore o quattro al giorno e il lavoro non è più concepito come una condanna, ma come un servizio sociale. Si è ottenuto un aumento della produzione agricola grazie anche al rispetto del suolo, alla selezione delle sementi, all’uso dei prodotti di stagione, senza trasporti inutili e su acqua dove possibile e con l’uso dell’elettricità. Sono stati istituiti uffici per l’impiego, ci sono stati riforestazioni, miglioramenti nei trasporti e nelle infrastrutture grazie a politiche di lavori pubblici.  E’ notevolmente diminuito l’inquinamento della rivoluzione industriale, l’architettura e l’urbanistica realizzano spazi urbani e rurali secondo principi di benessere e sostenibilità. Come spiega a John un giovane studioso, il più essenziale dei cambiamenti è stato “il cambiamento nel modo di pensare il mondo”. C’è stato un profondo cambiamento etico attraverso quella che viene chiamata religione, ma si tratta di una visione laica, come spiga Nellie quando illustra al fratello il settore dell’educazione e lo porta a visitare le scuole: “Al posto della Rivelazione e del Credo … abbiamo Fatti e Conoscenza: credevamo in Dio, ognuno a suo modo, e insegnavamo il credo come una questione di dovere. Ora sappiamo che Dio, come ogni altra cosa … più di ogni altra cosa …, è la Realtà della Vita. Questa è la base del sapere, su cui si poggia tutta la conoscenza, semplice, sicura e certa … e possiamo insegnarla ai bambini!”. Ciò che più tormenta John è scoprire che cosa ha potuto fare accettare un cambiamento di vita così esteso e profondo e Owen  gli risponderà che il cambiamento di quei trent’anni è stato possibile “grazie alla totale accettazione e applicazione dell’idea di evoluzione” laddove l’evoluzione sociale è stato un processo rapido, non lento come l’evoluzione naturale ed è avvenuto quando gli esseri umani si sono resi conto che potevano applicare quelle risorse del cervello, che in quegli anni si stavano studiando,  nella vita umana di tutti i giorni. E il suo vecchio amico libertino e deviante, diventato dopo un processo di rieducazione un docente di etica, gli dirà che alla base di tutto il loro cambiamento c’è l’idea che “la natura umana è ed era buona come il resto della natura.  Due cose ci facevano rimanere indietro: condizioni sbagliate e idee sbagliate; le abbiamo cambiate entrambe”. John non risparmia obiezioni ai suoi interlocutori e nonostante  apprezzi  vari miglioramenti continua a sentire una profonda nostalgia per il suo vecchio mondo. Solo nel rapido volgere del finale giungerà a un’accettazione della nuova società.

La necessità di sintesi non ci consente di dare conto dell’ampio quadro sociale che dipinge l’autrice dove l’attenzione alla collettività non trascura i bisogni individuali. Gilman invece ci lascia perplessi ed esprime idee lontane dalla nostra sensibilità  dove parla di eugenetica, di cui era sostenitrice. Nella sua utopia il Dipartimento di Eugenetica ha eliminato la sifilide, ha abolito la prostituzione, l’alcolismo, il tabagismo, esercita un controllo delle nascite e tutto ciò con una profonda azione di recupero ed educazione degli individui, ma anche in alcuni casi estremi con eliminazioni. Il pensiero di Gilman riflette  teorie eugenetiche della sua epoca, nelle quali oggi riconosciamo purtroppo il germe di ideologie che pochi anni più tardi avrebbero portato all’Olocausto. Dopo un ampio accenno a questa problematica nella bella prefazione di Eleonora Federici, le editrici in una nota finale  spiegano la loro scelta di pubblicare questo testo mai tradotto in Italia, nonostante  alcuni aspetti lontani dalle nostre idee: “Questo vale soprattutto per i riferimenti all’eugenetica che, tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento, incrociò in parte (negli Stati Uniti, ma non solo) la strada del femminismo. Riteniamo utile affrontare gli aspetti critici dell’opera di Gilman, contestualizzando storicamente, ma è tuttavia importante conoscere la radicale novità della sua visione, per muoverci tra le luci e le ombre delle nostre radici”.


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