L’anno in cui memoria, verità e giustizia divennero bersagli da colpire

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La scandalosa sentenza del 28 dicembre, con cui la Corte suprema russa ha ordinato la chiusura di “Memorial International”, una delle più prestigiose organizzazioni non governative per i diritti umani, seguita 24 ore dopo dalla chiusura dell’organizzazione sorella, il Centro “Memorial” per i diritti umani, chiude indegnamente un anno di enorme pressione globale sui movimenti della società civile e sulle singole persone che si occupano di memoria, di verità e di giustizia.

Custodire il ricordo, conservare le prove dei crimini del passato, ostinarsi a chiedere che i responsabili rispondano di fronte ai tribunali delle loro azioni sono, non da oggi ma sempre più oggi, attività considerate pericolose da molti governi. Si capisce, purtroppo, la loro logica repressiva: aggiornando Orwell al XXI secolo, cancellare il passato sopprimendo il presente consente di controllare il futuro.

Anche quando non c’è un passato da cancellare, la repressione si abbatte su chi, nel presente, ogni giorno, tenta di difendere i diritti umani: anche nel 2021, in decine di stati, avvocati, giornalisti, ricercatori, blogger sono stati arrestati, processati, condannati, torturati, a volte anche fatti sparire e assassinati.

In questa ampia categoria rientra anche Patrick Zaki, per il quale dal 7 dicembre abbiamo iniziato a intravedere una possibile luce in fondo al tunnel. Il 1° febbraio, quando lo studente dell’Università di Bologna comparirà nuovamente in tribunale per la ripresa del processo che lo vede imputato di “diffusione di notizie false”, sapremo se la libertà provvisoria concessagli meno di un mese fa diventerà permanente.


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