Transizione ecologica, S.o.s auto italiana

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Ci sono i soldi per la transizione ecologica. Mario Draghi l’ha assicurato più volte. L’ha ripetuto anche alla conferenza dell’Onu a Glasgow contro i cambiamenti climatici: «Per il clima i privati sono pronti a spendere decine di migliaia di miliardi di dollari».

Tuttavia non è così semplice la conversione verde dell’economia. Lo stesso presidente del Consiglio ha indicato una precisa condizione: «È necessario che il settore pubblico aiuti» i privati «a suddividere il rischio».

La transizione ecologica per l’auto si chiama elettrificazione: è il passaggio dai motori termici, a benzina e diesel, a quelli elettrici. Anche in questo caso vanno tutelati insieme l’ambiente e l’economia. Il problema è urgente, enorme e cruciale per l’Italia: il nostro paese rischia di perdere 60 mila occupati, rischia addirittura lo smantellamento dell’industria dell’automobile per i ritardi accumulati. Stellantis, Ferrari e Lamborghini assieme alle 2.200 aziende della componentistica (il 30% delle auto tedesche è fatto da loro) danno lavoro a 160 mila persone nella Penisola.

L’Italia è indietro nei motori elettrici, rischia di andare fuori mercato. La 500 elettrica è uno dei pochi modelli con il motore pulito. La presentò lo stesso John Elkann nella pista sul tetto del Lingotto e al Quirinale da Sergio Mattarella. Fu realizzata a Mirafiori da Fiat Chrysler Automobiles prima della nascita di Stellantis, cioè prima della “fusione paritaria” dello scorso gennaio con il gruppo francese Peugeot-Citroen. Elkann, prima presidente di Fiat Chrysler Automobiles e poi di Stellantis, sprizzò gioia per la nascita del quarto gruppo automobilistico del mondo: in questo modo «dalla ‘zona di sopravvivenza’ a metà classifica con Fca, adesso ci giochiamo la testa del campionato».

Stellantis va bene, fa boom. Ma mentre i marchi francesi godono buona salute, invece quelli italiani hanno continuato a perdere produzione e occupazione. Non si vede ancora il piano industriale promesso dall’amministratore delegato Carlo Tavares e i sindacati sono molto preoccupati per il futuro: dopo la cassa integrazione temono la chiusura degli stabilimenti.

Servono un piano industriale, una nuova organizzazione produttiva, grandi investimenti nell’elettrico. Serve anche una politica industriale del governo Draghi per l’auto in chiave di transizione ecologica. Le risorse ci sono. In particolare possono essere utilizzati i fondi della commissione europea destinati all’Italia per la ricostruzione post Coronavirus. Ma al ministero dello Sviluppo economico diretto dal ministro Giancarlo Giorgetti non ci sono stati grandi risultati nelle riunioni sulla riconversione elettrica dell’auto.

Giorgetti ha piazzato una sola carta importante: la disponibilità di Stellantis a costruire a Termoli una gigafactory per produrre le batterie: sarà la terza fabbrica europea del gruppo dopo quelle in Francia e in Germania (due altri impianti sono destinati agli Stati Uniti). Nel Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) il governo ha previsto 600 milioni di euro per la gigafactory di Termoli (potrebbero salire a un miliardo) mentre Stellantis investirebbe 1,5 miliardi. L’amministratore delegato Tavares, però, non ha dato particolari sul progetto: «Il piano sarà divulgato e comunicato con un approccio graduale e al momento opportuno».

La produzione negli impianti italiani di Stellantis cala sempre di più, l’occupazione è ridotta al lumicino con la cassa integrazione e gli esodi incentivati. I sindacati chiedono un piano complessivo per l’auto e non uno spezzettato fabbrica per fabbrica. Giorgio Airaudo ha puntato il dito contro il trasferimento delle produzioni e degli operai da Grugliasco e Mirafiori perché «determina nei fatti una chiusura» dello stabilimento ex Bertone. Il segretario della Fiom Cgil Piemonte ha lamentato: «A Torino si produce più cassa integrazione che veicoli…A Torino rimane solo Mirafiori che peraltro ha un ampio perimetro sottoutilizzato».

È un difficile problema per John Elkann, si somma ai guai giudiziari nei quali è finita la Juventus e il presidente del club Andrea Agnelli.


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