La saggia radicalizzazione di Greta

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La Greta Thunberg che abbiamo visto all’opera alla Cop 26 di Glasgow è più matura rispetto al passato. Del resto, gli anni trascorrono anche per lei e la saggezza che sta acquisendo, al pari della maturità, la rendono oggi una leader mondiale che nessun attore politico può illudersi di poter ignorare. È una Greta Thunberg meno mascotte e più battagliera rispetto all’adolescente che si sedette davanti al Parlamento svedese, lanciando l’idea di uno sciopero per il clima al fine di risvegliare le coscienze globali sul futuro del pianeta. Ed è più matura anche rispetto alle prime manifestazioni, quelle ante-Covid per intenderci, quando l’entusiasmo giovanile prevaleva su tutto e la critica a un modello di sviluppo iniquo e pericoloso era posta spesso in secondo piano.

Ora, sarà per l’amicizia che ha stretto con l’ugandese Vanessa Nakate, sarà per la sfida aperta che aveva lanciato a suo tempo a Trump, sarà perché è rimasta delusa dal mancato ascolto ad opera dei leader mondiali, sarà perché ha studiato ancora di più e si è impegnata al massimo per portare avanti le sue idee, sarà per tutti questi motivi, ma abbiamo a che fare con una ragazza assai più solida e determinata. Il discorso di Greta appare, infatti, meno conciliante e più deciso, le sue idee mescolano finalmente passione e critica serrata, e anche le manifestazioni che ne derivano ricordano da vicino quelle di vent’anni fa. Per fortuna, non c’è la violenza dei Black Block, non ci sono infiltrazioni e speriamo che non ce ne siamo mai, considerando che quegli elementi infestano ogni battaglia positiva e costituiscono un problema democratico notevole, oltre a disintegrare speranze e prospettive di partecipazione e a contribuire attivamente ad annientare ogni movimento che si batta concretamente per un’altra idea di mondo. Fatto sta che se si parla ancora di Genova, se gli ideali del Movimento dei movimenti non sono andati perduti, se la critica al capitalismo ha ritrovato vigore e se questo modello economico e di sviluppo è tornato nuovamente sul banco degli imputati, lo dobbiamo innanzitutto a questi splendidi ragazzi e ragazze che, in ogni angolo del globo, sono scesi in piazza e hanno animato manifestazioni oceaniche, pacifiche e ricche di colori e di cultura. Il capitalismo, al contrario, è grigiore allo stato puro, conservazione del potere, devastazione dei rapporti umani, delocalizzazione di fabbriche, privazione di diritti essenziali, arricchimento di pochi a scapito della moltitudine, trionfo del profitto sulla condivisione, esclusione e barbarie. È un modello insostenibile, nocivo, giunto ormai al capolinea e meritevole di finire nella pattumiera della storia, specie nella versione ferina del Washington Consensus che per troppo tempo la sinistra stessa ha difeso a spada tratta. Ormai, è bene che tutti ne prendano atto, l’uomo di Davos non abita più in Occidente e così il blairismo e altri incubi con cui anche la sinistra italiana è andata a braccetto per almeno un decennio, condannandosi alla perdita di senso, all’opposizione senza sbocco e, infine, al governismo senza ragion d’essere, lo stesso che ahinoi la anima in questa delicata fase storica, in cui si ripresenta la necessità di mettere in discussione gli equilibri internazionali e nessuna proposta politica ci sembra attrezzata a far fronte a una sfida così imponente.

Non c’è dubbio, tuttavia, che la generazione social, la generazione del mondo senza frontiere, della comunicazione immediata, dei mille colori in una stanza, la generazione multilingue e multitasking, senza più alcun ancoraggio al Novecento, stia lanciando una ciambella di salvataggio al fronte progressista mondiale, nella speranza che qualcuno si renda conto di quanto sia deleterio un sistema che tende a calpestare circa il 90 per cento degli esseri umani e che ha creato disuguaglianze talmente evidenti da essere stigmatizzate, in parte, persino da alcuni noti santuari del pensiero unico liberista.

L’impressione che avvertiamo, purtroppo, è che la classe dirigente mondiale, non certo solo in Italia, sia del tutto inadeguata a uscire dai propri schemi vetusti, che apprezzino Greta solo come fenomeno di folklore, come simpatico rumore di sottofondo, come elemento scenografico, illudendosi di poterle dire, al momento opportuno: “Ragazzina, adesso lasciaci lavorare”. Non si rendono conto, pover’uomini, che il loro potere, interamente maschile, machista, feroce e di una superbia senza eguali, sta conducendo quasi otto miliardi di persone all’estinzione. E qui non si tratta di sapere chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica o il prossimo inquilino dell’Eliseo ma di capire se fra dieci anni avremo ancora un pianeta abitabile o meno. Continuando di questo passo, temiamo di no. Per questo, la nuova Greta, radicale nelle idee e assai civile nei toni, ci piace moltissimo. Ci auguriamo, dunque, due cose: che possa indurre i ragazzi e le ragazze di Genova, ormai adulti, a prendere per mano la generazione successiva, superando finalmente vent’anni di dolore e disillusione, e che possa davvero sensibilizzare la sinistra globale a fare la sua parte. Quest’ultimo auspicio temiamo che resterà tale.


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