Le elezioni farsa in Siria e la vendetta contro la città martire

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Un filmato carpito con il telefonino dentro un seggio siriano mostra le operazioni di voto che hanno sancito la riconferma di Bashar al Assad alla presidenza della Repubblica Araba Siriana con il 95,1 % dei voti. La scelta di non arrivare al 100% è una costante del regime siriano, come quella di arrivarci vicini. Ma l’aspetto importante di questo filmato è la normalità con cui il presidente e gli scrutatori votano e depongono nell’urna la scheda dell’elettore che ha presentato il suo documento d’identità , alle volte votano e poi fanno deporre la scheda dall’interessato. Gli osservatori russi, iraniani e bielorussi forse lo avranno trovato normale? Domanda difficile.

Ma la vera domanda è un’altra, ed è molto più grave. Perché Bashar al Assad e sua moglie sono voluti andare a votare vicino a Damasco, a Douma, la città martire? Duma è martire tre volte. Prima per l’attacco chimico che ha ucciso 1400 suoi abitanti, 400 bambini, nell’agosto 2013, poi per l’interminabile assedio, con blocco di ogni aiuto umanitario, per circa cinque anni, infine per deportazione di molti suoi residenti nel nord del Paese, dove sono ammassati milioni di profughi siriani.

Il motivo per cui Assad e consorte sono voluti andare a votare lì è la vendetta? E’ la vendetta il criterio ispiratore di queste elezioni? Forse è proprio così, anche se il motivo di fondo è consentire a Mosca e Tehran di dire che il governo è legittimo, la ricostruzione può ripartire con lui, con Assad. Ma la ricostruzione, i danni stimati superano i 600 miliardi di dollari, deve trovare qualche facoltoso finanziatore. Mosca e Tehran non hanno simili risorse da investire nella ricostruzione della Siria. Le hanno però gli arabi, che potrebbero riammettere il regime legittimato da questo ampio consenso popolare nella Lega Araba. I negoziati sono in corso da tempo, ed è chiaro che tutto dipende non dai desideri dei siriani, ma dai negoziati in corso tra sauditi e iraniani, che avrebbero come scopo uno scambio di concessioni in Yemen e Siria.

Ma gli arabi sarebbero pronti a procedere su questa strada senza o contro l’Occidente? Per questo è importantissimo il comunicato ufficiale firmato dai capi delle diplomazia di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia poche ore prima del voto: parla apertamente di voto farsa, visto che sottolinea che non c’erano i requisiti minimi di trasparenza e che la risoluzione 2254 delle Nazioni Unite prevedeva che prima si doveva costituire un’autorità di transizione con il consenso dell’attuale regime e delle opposizioni, esclusi i terroristi riconosciuti tali da tutti, poi si doveva varare la nuova Costituzione e quindi indire elezioni sotto l’egida dell’Onu.

L’Italia così si allontana dai trascorsi delle epoche dei governi Conte, quando aveva avuto una certa convergenza con Mosca, e abbraccia chiaramente la linea atlantica. Una svolta poco notata ma molto importante per il futuro del Mediterraneo. Già a marzo questa svolta italiana era evidente per la firma del capo della nostra diplomazia di una lettera aperta molto forte contro il regime siriano. Insieme ad altri 17 ministri europei – non ci sono quelli di Visegrad- si invocava l’intervento della Corte Penale Internazionale vista l’enormità delle violazioni dei diritti umani da parte del regime in Siria (confermata dalla sua recente espulsione della Organizzazione Internazionale Contro le Armi Chimiche per aver usato gas venefici contro i civili). E’ molto interessante il motivo di questa richiesta pubblicata su Avvenire: “ È fondamentale che le violazioni, documentate in maniera così approfondita, finiscano immediatamente. Siamo anche determinati a far rispettare tutte le norme internazionali per proteggere i diritti di tutti i Siriani, come dimostrato dalla recente azione avviata dai Paesi Bassi per chiedere alla Siria di rendere conto delle violazioni della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura. I tribunali nazionali, alcuni dei quali hanno già avviato procedimenti giudiziari, svolgono un ruolo importante in questo senso. In molti dei nostri Paesi sono già stati avviati procedimenti giudiziari ed emesse sentenze definitive contro i colpevoli. Già nel 2016 i tribunali svedesi hanno iniziato a perseguire i gravi crimini commessi in Siria. Il mese scorso, un tribunale di Coblenza, in Germania, ha emesso una prima storica sentenza contro un ex membro dei servizi segreti siriani per favoreggiamento di crimini contro l’umanità. Sono in corso procedimenti giudiziari anche in Francia, a Parigi è stata recentemente presentata una denuncia per gli attacchi chimici commessi dal regime siriano contro il suo popolo. L’Unione Europea ha adottato sanzioni mirate contro individui e entità vicine al regime che sono dietro alla repressione del popolo siriano. Respingiamo la narrazione del regime secondo cui queste sanzioni sono responsabili delle sofferenze del popolo siriano.  Sono la palese negligenza del regime e la cattiva gestione dell’economia ad aver causato l’attuale crisi economica che affligge i siriani.

Oggi siamo chiamati a dare soluzioni alla tragedia dei detenuti e degli oltre 100mila scomparsi. È fondamentale che le Nazioni Unite dedichino tutte le energie necessarie per ottenere risultati tangibili, prima di tutto dal regime siriano. Combattere l’impunità non è solo una questione di principio, è anche un imperativo morale e politico, una questione di sicurezza per la comunità internazionale.[…]Infine, la lotta contro l’impunità è un prerequisito per la ricostruzione di una pace duratura in Siria”. Anche la ricostruzione della Siria stessa più che dalle urne passa dall’accertamento della verità.


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