Saint-Narcisse, l’ultimo film di Bruce La Bruce: il regista ‘oltraggioso’ firma una favola a lieto fine

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Ho, per la prima volta, occasione di recensire un film di Bruce La Bruce, Saint-Narcisse, uscito nel 2020 e in programma per Taglio Lungo Film Festival, online sulla piattaforma mymovies, dal 1 al 4 aprile 2021. Bruce La Bruce è un regista canadese di culto e di lungo corso, l’artista del queercore, acclamato per il suo genere post punk porno, per la scelta di temi estremi in ambito sessuale e di costume, criticato e censurato per l’interesse a parlare di questioni che tirano in ballo la morale, il lecito, la pornografia, le relazioni.

La Bruce realizza con Saint-Narcisse un film compiutamente inclusivo, capace di dare spazio alle manifestazioni umane senza un giudizio ma con ironia; un film del possibile, in cui tutte le sfumature emozionali appaiono come guardabili e ammissibili, in cui le scelte sono opinabili ma non trattabili, in cui la vita non si manifesta come una seriosa successione di fatti bensì come un ludico alternarsi di momenti tragici e spazi di gioia. Amore, gelosia, attrazione, fanatismo, narcisismo, ossessione, ridicolo, patetico, tragico: un caleidoscopio di elementi per una narrazione filmica che non risparmia nulla all’estetica patinata degli anni ‘70, con ammiccamenti al barocco, al fetish, incursioni nel bucolico, nel romantico, nell’idillico, con una grande capacità di equilibrio e di misura nel fermarsi sempre un attimo prima del troppo, dosando i grammi che portano a un risultato privo di eccessi.

In Saint-Narcisse protagonisti sono due gemelli che non si conoscono e non sanno nulla l’uno  dell’altro. Dominic abita con la nonna e Daniel in convento: uno libero di vivere un’esistenza laica, l’altro costretto a una condotta religiosa fin da piccolo, portato in monastero e lì vissuto ignaro di alternative. I gemelli sono bellissimi, di una bellezza quasi mistica che ferisce, con riccioli color miele e una forma fisica in equilibrio tra giovinezza e forza muscolare. Sono la trasposizione umana del San Sebastiano, icona religiosa che nel film svetta come immagine di meraviglia estatica e martirio a cui sfuggire. È Dominic il narcisista nella storia, colui che ama la sua stessa immagine, al punto da volerla riprodurre fotografandosi, per adorarsi e contemplarsi. È onestamente difficile pensare di non essere narcisisti quando si è così belli, la possibilità di non adorare la propria immagine è praticamente esclusa, ancor più se pensata all’interno della nostra società in cui tutti viviamo immersi in un liquido di rassicurante autocompiacimento.

I gemelli sono entrambi molto curiosi. Hanno finalmente l’occasione per conoscersi, quando la nonna viene a mancare e Dominic trova in un cassetto alcune lettere lasciate dalla madre, che credeva morta: si dirige così a cercarla nella ritirata casa in campagna dove ella vive con la compagna in una esistenza ‘da strega’ circondata dalla passione per il disegno e per la natura da cui trae rimedi e saperi. Accanto alla casa della madre è anche il convento di Daniel, la curiosità guida i due gemelli a incontrarsi, Dominique si apposta e spia l’altro fino a trovare l’occasione giusta per presentarsi. L’incontro avviene in un bosco, il nucleo del loro scambio è ancorato alla scoperta dell’esistenza di un doppio di sé e della presenza della madre, ancora viva, notizia che Dominic dà a Daniel in un dialogo di toccante semplicità. I due gemelli hanno un amplesso. Qui, ma non solo qui, il regista mostra qualcosa che può scioccare la morale e il senso del giusto e dello sbagliato, e lo fa con tale naturalezza da presentarci una visione della vita che, pur ritenendo una non opzione, non può disturbare.

Esiste un equilibrio interno al film in cui tutte le sfumature di amore possibile sono contemplate, dal poliamore, alla sessualità feticista, fino all’amore all’interno della stessa famiglia. Per comprendere le ragioni di questo ultimo controverso punto, è utile leggere l’intervista che La Bruce ha rilasciato a «Il Manifesto» nel settembre 2020[1] affermando, tra l’altro: «Affronto romanticamente fenomeni ritenuti perversi o disgustosi per smontare pregiudizi e aprire alla complessità. […] Ora, il tabù dell’incesto è comprensibile per ragioni sociali e biologiche ma la vergogna e la colpa, a cui la Chiesa contribuisce, reprimono e rendono perversi pensieri che invece andrebbero elaborati e su cui il film vuole far luce. Io adotto l’ironia e la parodia come forme di disvelamento contro la repressione».

La riunione dei fratelli ha un potere escatologico: dal momento del loro riavvicinamento ogni personaggio del film andrà incontro a una liberazione. Dominic potrà amare, ricambiato, se stesso, Daniel sarà sollevato dalla costrizione del convento, il monaco che lo teneva costretto a sé, in un rapporto deviato, sarà ucciso e morirà ai piedi del suo Santo idolatrato, vittima della sua stessa adorazione, la madre e la compagna costruiranno un nuovo equilibrio nella vita condivisa con i gemelli, in una famiglia allargata in cui i ruoli si sciolgono nelle infinite possibilità delle scelte consensuali.

[1]     https://ilmanifesto.it/bruce-la-bruce-uso-le-immagini-con-ironia-per-smascherare-la-repressione/

Questo articolo è apparso originariamente sul quotidiano di spettacolo e culture Scenario http://www.inscenaonlineteam.net/


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