“Digital Draghi”, urlano dalle curve degli stadi

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Tra le incombenze del presidente del consiglio Mario Draghi vi è la revisione del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), il presumibile sottotesto della crisi governo. Indirizzo e uso delle risorse in arrivo dall’Europa sono certamente alla base -e non serve neppure citare Marx – di liti e contese sfociate nella caduta non accidentale della compagine diretta da Giuseppe Conte.

Revisione per revisione, si rimetta mano allora anche al capitolo cruciale della digitalizzazione.

La parola digitale ricorre con la stessa reiterazione ossessiva della drammaturgia di Pina Bausch (si fa per dire, ovviamente). E, tuttavia, logiche puramente quantitative e al tempo stesso sbilanciate nelle proporzioni delle poste di bilancio prevalgono ancora una volta. Non è la strada giusta per far salire l’Italia nella classifica europea del digital economy and society index (DESI), che ci vede ultimi quanto a culture digitali.

In breve, infatti, la questione attiene innanzitutto alla scarsa formazione tanto dei cittadini quanto delle istituzioni nel linguaggio e nella sintassi degli algoritmi. E sono proprio i livelli istituzionali ad avere i buchi maggiori. Software che non dialogano e per di più prevalentemente proprietari, siti talvolta ostici e inutilmente complessi, pochissima trasparenza compongono un mosaico dai tratti gogoliani.

Dei 46,3 miliardi di euro previsti 11,75 vanno alla pubblica amministrazione: tanti o pochi a seconda dell’impiego che se ne intende fare.

Sarebbe bene chiarire il destino dei fondi. Soprattutto, è fondamentale sbloccare l’applicazione e l’iter operativo di diverse norme varate e mai applicate. Un piccolo esempio: si chiedono tuttora i fax, che pure sarebbero vietati. E poi persistono scadenze e termini non rispettati. Mentre svariate iniziative coraggiose di comuni ed autonomie locali – come la pratica delle smart city– rimangono attività d’avanguardia non connesse al senso comune della burocrazia.

Nel piano definitivo si capirà se vi sono reali incentivi e non meri crediti di imposta per le nuove intraprese, soprattutto giovanili?

Un capitolo dolente tocca il tema impropriamente chiamato della governance (insopportabile termine reaganiano). Ministero dell’innovazione e, per ciò che è di sua competenza, il gemello della pubblica amministrazione avrebbero bisogno di una seria riflessione sulle rispettive fisionomie e di un’analisi dell’attività svolta. A parte il ricorrente acronimo dello SPID (sistema pubblico di identità digitale), cosa si è realizzato per le esigenze e i diritti delle persone, come invoca giustamente la felice rete per «la società della cura» cui si deve anche un interessante approfondimento sulla materia? E poi, non è venuto il momento di rivedere l’AgID (agenzia digitale) con relativa agenda? Si tratta di entità immaginate in una stagione analogica, quando le tecniche numeriche venivano presentate come eccentriche curiosità da palcoscenico, con rispetto parlando.

Ora, quando il capitalismo delle piattaforme è l’essenza della mercificazione e pure un modello culturale, la nostra testa deve cambiare. E il governo, come ordinamento e organizzazione del bene pubblico, non può rimanere ancorato agli anni novanta del secolo scorso. Prima della prima. La rete sembrava un’oasi intangibile di libertà e i social non esistevano ancora.

Non solo. Il trattamento e la circolazione dei dati erano in tutt’altra fase evolutiva, mentre il possesso dei profili delle persone nonché la loro sorveglianza sono ormai il centro dell’azione prepotente degli Over The Top, le cui fortune nella lunga stagione della pandemia si sono moltiplicate all’infinito. Basti guardare ai patrimoni accumulati e agli esiti delle borse, e – per converso- alla miseria delle tasse pagate.

Nel contempo, lontano dai riflettori, si spinge in sede internazionale a Ginevra per un trattato di liberalizzazione commerciale volto ad aggirare le stesse discipline sulla privacy e sui dati.

Così, purtroppo, il capitolo dell’inquinamento elettromagnetico sembra proprio rimosso.

Nel frattempo, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni intende mappare l’ecosistema digitale. Una fiammella si è accesa?


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