Quel virus cinese che non è il Covid-19

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I seminari e gli incontri promossi dal Premio «Morrione» hanno dedicato uno spazio alla Cina e al suo approccio verso le nuove tecnologie in tempo di pandemia. Un’analisi tecnico-filosofica

La Cina è al centro dell’attenzione mondiale da tempo, soprattutto oggi che la pandemia sta attanagliando il pianeta, causando decessi e colpendo le economie mondiali. Una super potenza economica e demografica, la Cina,  ancora poco conosciuta, se non sulla base di stereotipi consolidati.

Per questo motivo il Premio «Roberto Morrione» (che si è concluso sabato sera con la premiazione dei giovani finalisti alle 21 e con la partecipazione, tra gli altri, della pastora di Torino, Maria Bonafede) ha dedicato la sua formazione prorio alla Cina e a quel virus cinese, che è stato ricordato, «non è solo quello pandemico, bensì endemico, quando mina dal punto di vista informatico la privacy dei suoi abitanti».

Ospiti del webinar erano Simone Pieranni e Franco “Bifo” Berardi, coordinati da Stefano Lamorgese.

Pieranni è anche autore di Red Mirror, un libro nel quale si prefigura il nostro prossimo futuro condizionato da un uso pervasivo di smartphone e di nuove teconologie.

«Un futuro già presente e concreto in Cina – ha ricordato Simone Pieranni –, dove l’intelligenza artificiale domina ormai ovunque, sia sui veicoli a guida autonoma, sia per la ricerca delle tecnologie green. E dove nelle smart city  quest’intelligenza artificiale entra nelle telecamere con “riconoscimento facciale” utilizzate per controllare pedoni e passanti.

Un Paese – ha chiosato Pieranni – dove chi progetta il mondo di domani è già all’opera».

Quale tutela per la privacy e per i diritti può esserci in uno scenario di questo tipo?

La Cina, è stato detto, «ha dinamiche aritmetiche e demografiche talmente ampie che sono difficilmente immaginabili in contesti più modesti, come quello italiano», ha ricordato Stefano Lamorgese.

«Una nazione interessante e ricca di contraddizioni. Un paese che ha dovuto fare i conti sin dal passato con un annoso problema: la corruzione. Infatti, ogni leadership che si è alternata alla sua guida, ha tentato di contrastare questo fenomeno – ha ricordato Pieranni –. Anche Xi Jinpin, attuale presidente, ha attivato una Campagna anti-corruzione. Un’azione importante che ha funzionato; una Campagna dal “sapore populista” che ha garantito consenso e successi importanti».

Questa ricerca del sommerso è stata facilitata proprio dalle nuove tecnologie.

Il libro di Pieranni ne è la prova, in quanto racconta l’impatto delle tecnologie nella società cinese. L’autore snocciola nel primo paragrafo l’esempio di una sua giornata tipo iniziata dal mattino pagando e prenotando biglietti, mandando messaggi, facendo chiamate e pubblicando foto e storie attraverso un’unica App, WeChat (Weixin). Di proprietà della Tencent, WeChat che per assonanza potrebbe ricordare l’app più usata in Occidente, WhatsApp.

Essa racchiude le funzionalità di Facebook, Messenger, Deliveroo e Instagram (solo per citare le principali), creando un «“ecosistema” nel quale l’individuo è il cellulare e il cellulare è WeChat, senza soluzione di continuità».

Attraverso i Qr-Code i cinesi saldano le spese correnti, pagano bollette e operano giornalmente in numerose transazioni burocratiche, senza mai dover tirare fuori il portafogli.

«Attraverso l’innovazione il popolo cinese che rivoluzionò il mondo della scrittura introducendo la carta, oggi  propone il completo superamento di ciò che aveva creato ben due millenni prima», ha ricordato Pieranni. Ad esempio «introducendo i crediti sociali: ossia una sorta di giudizio, di voto sociale dato alle azioni di ciascun individuo. A ogni persona, infatti, è destinato un punteggio (un po’ come quelli della patente in Italia, ndr) e sulla base dei comportamenti il punteggio varia; può aumentare o diminuire, definendo di fatto causa ed effetti, privilegi o privazioni per i cittadini».

Pieranni ha portato ai presenti online un esempio: «Se porto la spazzatura nel punto di raccolta differenziata e non la eseguo correttamente, le telecamere che mi osservano durante l’atto e grazie ai dispositivi di sorveglianza e di riconoscimento facciale possono emettere un voto, assegnarmi dunque un punteggio. Se il riscontro delle mie azioni sarà giudicato negativo sarà discriminatorio per il futuro. Ad esempio, potrei avere impedimenti per l’acquisto di un biglietto ferroviario, perché considerato cittadino non performante».

Questa è la Cina che ha contrastato con successo il virus Covid-19.

Così ci dicono le fonti ufficiali cinesi.

Una Cina dove il «reddito sociale è stato affidato ad aziende che possono valutare se una persona paga i suoi debiti e venire a conoscenza dell’appartenenza religiosa e dell’inclinazione politica do ogni citadino».

Un sistema che mette in relazione reputazione e senso di sicurezza. E l’etica?

«Il concetto di “metterci la faccia” – ha ricordato Pieranni –, ossia il permettere che altri possano entrare nelle nostre vite, è spesso accostato dai cinesi a quello della sicurezza. La reputazione di ogni individue, dunque, è connesso a quel “Patto sociale” siglato tra il governo e la popolazione; di fatto, un controllo da parte delle autorità».

Gli algoritmi non sono solo dei meccanismi virtuali, sono dei veri e propri dati, ricorda Pieranni. «Dati inseriti e “nutriti” da persone fisiche, lavoratori che educano gli algoritmi per far sì che questi possano rilasciare risposte il più possibile simili a quelle che potrebbe fornire un essere umano. Dunque, dietro ogni azione visibile sulla rete ci sono dipendenti o “manovali digitali” che si occupano di educare quegli algoritmi; persone che, purtroppo, spesso vivono in Regioni molto depresse della Cina».

Una domanda dunque sarà ineludubile, inevitabile, proprio come lo è lo sviluppo tecnologico (al quale noi stessi stiamo regalando le nostre vite e i nostri dati più sensibili): da chi preferiremo essere osservati in futuro? Dalle grandi aziende tecnologiche cinesi o da quelle occidentali?

«Il processo industriale cinese è iniziato in epoca maoista, si è sviluppato in maniera vertiginosa nel tempo e oggi ha messo (di nuovo) al centro gli intellettuali e gli scienziati. Dunque, dopo l’esaltazione della terra, dell’agricoltura, della classi produttive contadine e operaie, è tornato a investire nella scienza», ha ricordato Lamorgese.

«La recente crisi economica occidentale (2008) ha stimolato un nuovo processo tecnologico e scientifico. La Cina – ha proseguito Pieranni – possiede un miliardo e quattrocento milioni di persone che garantiscono una forza lavoro utile al mercato interno, un Pil importante, che tuttavia non riesce a soddisfare economicamente tutti gli bitanti del Paese.

I diritti sociali, infatti, – ha ricordato Pieranni –, variano da regione a regione, da città a città. Una moltitudine di persone è oggi migrante all’interno del suo stesso Paese; e spesso proprio per cercare un reddito più adeguato, una qualità migliore di vita. Una vecchia legge, infatti, nata in epoca maoista, prevedeva alcune limitazioni in caso di spostamenti dai villaggi alle città; ancora oggi in vigore e divulgata allora per sfavorire l’abbandono delle campagne».

La Cina è dunque una Nazione in perenne ricerca di prosperità «e che oggi più di ieri dovrà basare la sua sussistenza anche sui consumi interni. Un mercato che dovrà essere in grado di dare una nuova spinta alla tecnologia «green». Pechino, ha già annunciato di voler arrivare a “emissioni zero” entro il 2060; obiettivo decisamente ambizioso. Ciò avverrà solo se la classe media continuerà a trainare il mercato e la sua leadership».

Un progresso possibile in Cina, meno nel resto del mondo che deve fare ancora i conti con la pandemia.

Pandemia, che per il filosofo Franco Berardi «richiederà una “ridefinizione dell’intero cognitivo” perché oggi “l’automa” si è impadronito del funzionamento delle menti nel mondo. Perché oggi l’America di Trump può essere spiagata solamente utilizzando elementi di psicopatologia. Siamo dunque dentro l’Apocalisse», ha detto laconico Berardi.

Pandemia, ha proseguito, che possiede «un carattere così ultimo, così drammatico e non tanto per quello rappresenta in sé, ma per il fatto ciò che rivela ed evidenzia.

Quello che abbiamo vissuto nei mesi scorsi segnati dal lockdown e che oggi riviviamo – ha proseguito – è un collasso biologico, politico, economico e psichico che rende necessario stimolare una riflessione attorno agli scenari attuali per l’intera umanità. La pandemia ricorda quanto l’umanità sia legata all’estinzione, uno scenario attinente alla sfera del possibile».

Dunque, non possiamo chiedere nulla alla politica, «perché anche la politica vive in questo scenario» affrontando una complessità che «ha superato “il limite” e la vede impreparata».

Oggi la penetrazione destrutturante dell’informazione (info-virus) è entrata nel bio-virus.

Nel 1968 una pandemia sviluppatasi a Hong Kong uccise due milioni e mezzo di persone, ha detto Berardi, «Eppure, davvero in pochi hanno memoria di un evento così catastrofico. Con questo, non intendo prestare il fianco ai negazionisti “da mascherina”, ma c’è un problema: oggi non facciamo altro che parlare di virus dimenticandoci di tutto il resto. Non facciamo altro che riportare dati, elencare morti e numeri relativi ai contagiati». Cosa accadrà dunque, così facendo, ai processi sociali in futuro? All’empatia, ade sempio? Ai rapporti sociali «dal momento che il corpo dell’altro è diventato il simbolo di un pericolo imminente?». si è chiesto il filosofo.

«La politica è oggi incapace di fare i conti con questa realtà. Il virus simboleggia l’ingovernabilità degli eventi. Esprime un senso d’impotenza, ne delinea l’inevitabile depauperamento. Siamo costretti ad accettare tutto ciò, malgrado il nostro sconforto, come siamo costretti ad eccettare l’idea che l’estinzione possa essere un destino collettivo, non solo individuale.

Questa pandemia – ha concluso Berardi – rappresenta una soglia. Una linea di demarcazione dalla quale sarà necessario ripartire immaginando scenari futuri, ma diversi. Per ri-costruire e ri-partire passando attraverso una ristrutturazione sociale probabilmente priva di corpi e fisicità che il distanziamento ha generato. Quando tutto questo finirà, se finirà, dovremo ricordarci un valore rimasto, quello della solidarietà. Per ora, possiamo cercare conforto “solidale” nel piacere, nella cultura, nel teatro, nell’arte, nella musica, tutte panacee per le nostre anime e per i nostri corpi feriti e sofferenti».


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