L’Italia ha perso un grande, padre Bartolomeo Sorge

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L’Italia ha perso un grande, padre Bartolomeo Sorge. Se c’è stata una primavera in Italia, la primavera di Palermo, in gran parte lo dobbiamo a lui. Legatissimo a Paolo VI, Bartolomeo Sorge è stato il grande intellettuale che ha accompagnato la ricezione delle novità conciliari in Italia dalla direzione de La Civiltà Cattolica, che ha guidato dal1973. Poi a Palermo, nella grande sfida italiana, quella alla cultura mafiosa. Nel capoluogo siciliano Bartolone Sorge ha fondato e guidato l’Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe. La sua direzione della prestigiosa rivista dei gesuiti nel solco del rinnovamento conciliare ha posto le basi per la successiva stagione, il rinnovamento palermitano, la nostra “primavera”. Il suo ricordo di quella stagione è stato giustamente impresso nel nostro oggi, nel nostro presente, dalla riproposizione di queste sue parole, importantissime allora come oggi, e giustamente riprese da tanti: “L’esperienza più drammatica e bella della mia vita apostolica è stata quando ho visto una catena umana di 3 chilometri, uomini e donne, giovani e vecchi che si davano la mano attraversando la città e dicendo ‘basta con la mafia’ dopo le stragi del 1992. Prima di arrivare a Palermo la gente invece aveva paura di nominare la parola mafia. Si guardava intorno mentre parlava. Poi ho visto le lenzuola alle finestre dei quartieri popolari di Palermo. Quella fu veramente una vittoria”.

Quegli anni li ricordo bene perché ero “socialmente attivo” , “impegnato” e nominare padre Bartolomeo Sorge era usuale, ricorrente, importante, in tantissimi ambienti. Un protagonista, un riferimento chiaro e riconosciuto della nostra vita, sociale e culturale. Amico personale, interlocutore di Paolo VI, ne capì la portata epocale per la Chiesa e la modernità più che nella cultura e nella spiritualità diceva, giustamente, nell’umanità. Un’umanità che si univa a una comprensione del mondo contemporaneo che pochi altri hanno avuto e che chiunque può capire acquisita nel suo governo episcopale  di Milano, quando prima ancora di diventare Paolo VI seppe vedere le città capovolgersi, perdendo la vita autentica nei centri storici.

Il mio primo contatto con lui è stata una lunga intervista davanti all’esplosione dello scandalo pedofilia. Mancavano molti anni al pontificato di Francesco, appena cominciava il nuovo millennio, ma già allora padre Bartolomeo Sorge seppe dirmi che il problema non riguardava i costumi ma il potere, i seminari, il clericalismo.

Archiviare in poche battute le grandi pagine di storia italiana di cui è stato protagonista Bartolomeo Sorge non può essere fatto, non dovrebbe essere fatto, come sto facendo io. Lui ha rappresentato una stagione di cambiamento, riforme, ricerca di nuovi equilibri, di aggiornate sensibilità, di lettura “dei segni dei tempi”. Per questo è rimasto protagonista anche in tempi recenti, quando l’età non ne faceva più un protagonista, ma l’intelligenza, la fede e il grande passato ne facevano un punto di riferimento per tanti. Così ha continuato a scrivere, e nella stagione bollente del recente passato ha capito che qualcosa di rilevante stava accadendo in Italia. La società e la Chiesa, che con essa vive, non potevano non vedere, non capire. Così lui, anziano, ha preso cara e penna, e ha scritto. Ha scritto soprattutto sull’accoglienza, sui porti chiusi, su sentimenti diffusi nello stesso corpo ecclesiale incompatibili con i fondamenti della fede cristiana. Lo ha fatto con la ferma pacatezza di chi sa che davanti alle battaglia della vita c’è il momento in cui cercare nuovi equilibri, nuove aperture, e quello in cui riaffermare le proprie indiscutibili certezze. Eravamo in piena emergenza Covid, quando padre Sorge ebbe la forza di cercare di indurci a ragionare. Contro di lui ci fu un diluvio di critiche, tanto che proprio qui ebbi io stesso modo di scrivere una piccola lettera di affetto per lui: “ Stimatissimo e caro padre Bartolomeo Sorge, le volevo attestare vicinanza e affetto in queste ore in cui tanti non sono riusciti a capire il suo affetto per la popolazione lombarda, alla quale a mio avviso lei ha voluto rivolgere uno dei più dolci tributi d’affetto. Non è stato capito. Non sarò certo io a “interpretarla”, mi interessa dirle quel che mi ha fatto capire, che non avevo capito e che mi induce a ringraziarla di cuore. Lei ha scritto: “L’utopia: la sicurezza verrà da due decreti legislativi che chiudono i porti ai naufraghi. La realtà: il Covid19 non è venuto dai naufraghi, ma dalla regione più ricca del nostro Paese.” Lì per lì mi sono chiesto se il virus non fosse venuto dalla Cina. Già… Ma anche i migranti, arrivano dalla Libia ma non “vengono dalla” Libia. Vengono da tanti paesi attraverso la Libia. E’ lì che diventano una malattia, un virus, e vanno messi in quarantena, bloccati. Lei mi ha fatto ricordare delle fughe dalla Lombardia, dei treni presi d’assalto, di alcune delibere che chiudevano l’accesso di aree del nostro Paese ai lombardi. In definitiva il virus ha questo effetto terribile: trasforma il contagiato in contagiatore, da vittima in colpevole. Come i migranti: vittime lì dove vivono e da dove fuggono e colpevoli qui dove non devono arrivare. Ho l’impressione, se capisco il suo amore per i migranti, che lei abbia voluto esprimere il medesimo amore per i lombardi, trasformati dal virus in colpevoli. Il Mar Mediterraneo è pieno di morti come Bergamo, e il dolore per gli uni è il dolore per gli altri, se sappiamo vederli entrambi. Ma il suo amore per i lombardi uccisi dal virus non è stato capito e di questo credo si dispiaccia. Mi dispiace davvero. Le sono vicino, come a tutti  coloro che soffrono in Lombardia (e altrove). Vede, io credo che il suo messaggio fosse sull’idea stessa di “sicurezza”, in contesti diversi è sempre sicurezza. Dobbiamo pensare di poter essere sicuri da soli, contro gli altri,  o dobbiamo capire che possiamo diventare sicuri soltanto con gli altri? Questo virus, si dice, ha già ucciso la globalizzazione. Forse è vero, ma a me ha detto che la salvezza la troveremo scegliendo insieme di difendere l’ecosistema, ha detto che non è saggio costruire città al posto di foreste pluviali, così facendo si metterà a rischio la mia stessa sicurezza, perché così facendo si  metterà l’uomo a contatto diretto con le case del virus, determinando la “spillover”. La natura, l’ambiente, non vanno dominati, come dicono alcuni suoi fratelli di fede, ma rispettati, tenuti in equilibrio con noi. E’ l’idea di dominio, come sempre, l’origine del male. Come con i territori da cui originano i migranti e con le terre da cui è partito il virus che ha trasformato i nostri fratelli lombardi in vittime di un nemico invisibile. Così la saluto con tanto affetto e la ringrazio di avermi fatto capire qualcosa di più.”

Non tutti furono d’accordo con me. Ricordo l’orrore quando lessi su twitter una risposta alle sue affermazioni in favore di un paese più solidale, più gentile, più affettuoso. Un utente arrivava a scrivere “ancora nessuna chiamata?” Provai rabbia, ma mi aiutò anche ad acquisire la consapevolezza che Bartolomeo Sorge aveva ormai centrato un punto cruciale per tutti noi. Quale?  Padre Sorge aveva capito: aveva capito soprattutto quanto fosse importante, urgente, un sinodo della Chiesa italiana. La Chiesa non è “il clero”… La Chiesa è un corpo del quale le membra sono tutti i battezzati, tutti i fedeli. Non esistono medici cattolici, giornalisti cattolici, infermieri cattolici, ingegneri cattolici, madri cattoliche, padri cattolici e cosi via: esistono cattolici medici, cattolici giornalisti, cattolici ingegneri e così via. Non sono cinghie di trasmissione, ma parti insostituibili del cattolicesimo vero, e parte così importante della nostra società, della nostra cultura. Allora un sinodo della Chiesa italiana sarebbe importante perché non ci sono vescovi o cardinali incaricati di definire “documenti” o “progetti culturali” del nostro cattolicesimo, ma un corpo vivo che si interroga, si definisce nel tempo, in questo nostro tempo, davanti alle sfide, a queste nostre sfide. Così padre Sorge prese carta e penna e tornò a scrivere per la rivista che aveva di diretto, La Civiltà Cattolica: “ Un’altra difficile sfida meritevole di essere affrontata in un autorevole dibattito sinodale riguarda le implicazioni etiche e comportamentali dei fedeli, all’interno della crisi spirituale e culturale senza precedenti in cui si dibatte l’Italia. «La Chiesa – ha detto papa Francesco – sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini». Ci chiediamo: quale intervento autorevole la Chiesa italiana potrà pronunciare, alla luce del Vangelo e del magistero, sul fatto che milioni di fedeli – non esclusi sacerdoti e consacrati – condividano, o quanto meno appoggino, concezioni antropologiche e politiche inconciliabili con la visione evangelica dell’uomo e della società?”

Un grande sacerdote, un grande intellettuale ci lascia. Il meno che si possa fare, anche con un superficiale ricordo come questo, è ringraziarlo.


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