Dolore e dubbio a Venezia. ‘Lasciami andare’ di Stefano Mordini

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Forse ci sono casi della vita, situazioni difficili, esperienze di dolore, che non travalicano mai il tempo, che non transitano dal presente al passato, che restano, con forza maggiore o minore, nella nostra vita. Questa è la riflessione al centro del film italiano Lasciami andare, presentato in anteprima come film di chiusura e fuori concorso alla 77. Mostra del Cinema di Venezia, trasposizione cinematografica del romanzo di Christopher Coake, Sei tornato.  La morte del loro  bambino per un incidente domestico ha sconvolto le vite di Clara e Marco. I due si sono separati dopo il lutto insopportabile e hanno tentato di ricominciare a vivere, di trovare un nuovo equilibrio. Marco ha una nuova compagna e da questa aspetta un figlio.

Improvvisamente arriva nella loro vita una donna misteriosa, affascinante, Perla, che è andata a vivere nella casa dei due, la casa dell’incidente, che la coppia aveva venduto perché non era più possibile vivere in quell’ambiente. Perla turba le loro vite convincendoli che nella casa si percepisce una presenza, racconta loro che l’anima del figlioletto morto, Leo, è ancora in quella casa, nella sua stanza e comunica con il ragazzino, figlio di lei.

 

Marco e Clara sono sconvolti, entrano più volte in quella casa per cercare di capire, per sentire la presenza del figlio, per rivederlo. Iniziano un’indagine per dare una spiegazione razionale, addirittura consultando un professore di fisica che cerca di illustrare alcune teorie quantistiche sul concetto di spazio-tempo e sulla permanenza di energie come forma di sopravvivenza dopo la morte. Clara, in particolare, nella disperazione di una madre, si vuole convincere che il figlio sia ancora lì, che lei lo possa un giorno rivedere o, per lo meno, sentire in una extradimensione non corporale.

Questa storia, a metà tra il genere noir e il giallo psicologico, si sviluppa come un’inchiesta che rapisce lo spettatore per sorprenderlo, poi, nel finale, con una spiegazione che appare ovvia e razionale, ma non fino in fondo. La vera protagonista del film è la città di Venezia; una Venezia splendida nella sua decadenza, magnifica e livida nei suoi canali e le sue calli, nella piazza San Marco invasa dall’acqua alta e negli incantevoli palazzi storici che rischiano ogni giorno di crollare. Marco è un ingegnere che lavora sulle fondamenta di quei palazzi e ne denuncia l’incuria. Parlando col padre, professore, che gli chiede notizie sul suo lavoro, Marco risponde con orgoglio “cerchiamo di tenere a galla una città che sta affondando”.

Grande merito della regia è quello di raccontarci Venezia oggi, dove la corruzione di certa politica con la connivenza di  periti o tecnici ha consentito il degrado e la decadenza. Nell’atmosfera generale tenebrosa per la vicenda e livida per l’ambientazione, nella pellicola c’è una denuncia palese, un’attenzione ai particolari tecnici, uno sguardo sulle fondamenta e le strutture, i mattoni e le malte che arricchisce il film quasi di un aspetto documentaristico.

L’acqua invade la città, l’acqua dei canali viene attraversata quotidianamente da Marco con la sua imbarcazione, dai vaporetti; l’acqua si riflette sul muro della stanza del piccolo Leo creando strani effetti di luce, l’acqua nasconde segreti e misteri e lega le sequenze e le immagini del film. Mentre la vicenda si snoda in un intreccio labirintico, la macchina da presa indaga sui volti, sugli occhi dei personaggi, sui loro sospiri, dando corpo al dolore (il più insopportabile che sia dato all’uomo), alla gelosia, alla paura, al rimorso, alla rabbia.

Una prova d’attore davvero buona quella di Stefano Accorsi che sta dimostrando nelle sue ultime interpretazioni una crescita e una consapevolezza sempre maggiore. Al suo fianco Maya Sansa equilibrata nel ruolo, non melodrammatica; sorprende Serena Rossi – probabilmente scelta dal regista perché il suo personaggio canta in un pub e la voce della Rossi è da jazzista – che, dopo fiction e film di scarsa qualità, sembra dare prova di una interpretazione che si fa notare. Il ruolo della misteriosa e bugiarda Perla è affidato a Valeria Golino sempre uguale a se stessa, sempre scolpita in un’identica espressione film dopo film, personaggio dopo personaggio.

Il regista Stefano Mordini – già presente a Venezia con Acciaio (tratto dal romanzo di Silvia Avallone) nel 2012 e candidato al David di Donatello per la migliore sceneggiatura per Pericle il nero, ultimo film realizzato Gli infedeli – mette in equilibrio una storia su-reale con l’attenzione per l’ambiente e la denuncia civile, mescola gli elementi con sobrietà e riconoscibile perizia tecnica che si evince dal montaggio, dalla struttura narrativa, dalle inquadrature della città e dal supporto fotografico di Luigi Martinucci, così sapiente da far sentire allo spettatore l’umidità della città e il mistero da cui è velata, fuori dai cliché.

Allo spettatore rimane una inquietudine sottile, una risposta non data, una disillusione di fronte al “non dato sapere”.

LASCIAMI ANDARE

regia di Stefano Mordini

con Stefano Accorsi, Maya Sansa, Serena Rossi, Valeria Golino


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