Solidarność quarant’anni dopo 

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“Noi in Polonia vincemmo prima e commettemmo l’errore di dimenticare quella lotta comune con Václav e con le società civili del resto dell’Europa bolscevizzata. Fu un errore dimenticare la lotta comune”. A parlare così è Lech Wałęsa, lo storico fondatore del sindacato polacco di ispirazione cattolica Solidarność che, nella Polonia del neo-papa Wojtyla, ebbe il merito di sfidare e infine sconfiggere gli ultimi residuati di un comunismo sovietico ormai morente.
Quarant’anni dopo, Solidarność resta un faro per chiunque aspiri alla piena libertà in paesi che liberi ancora non sono, come ad esempio la Bielorussia di Lukashenko, nella quale tuttavia sempre più forti sono le proteste contro un personaggio avvertito ormai come un dittatore che ha fatto il suo tempo.
La Bielorussia, ufficialmente, è l’ultimo regime rimasto in Europa e anche uno dei più feroci, come si evince dai racconti di coloro che sono stati imprigionati e torturati in questi giorni. La novità risiede nel fatto che il popolo sta alzando la testa e anche gli operai delle fabbriche stanno cominciando a ribellarsi, anche perché non credono più allo scambio disumano fra acquiescenza e salario o, forse, perché stanno prendendo coscienza di quanto sia intollerabile chinare la testa in cambio di una retribuzione, peraltro misera, che garantisce sostanzialmente pane sporco e intriso dell’odore amaro della schiavitù.
È ancora presto per dire se siamo al cospetto di un nuovo moto rivoluzionario, come quello che caratterizzò la Polonia degli anni Ottanta e la Cecoslovacchia di Havel; fatto sta che il mondo intero, dall’Est europeo a Hong Kong, sta iniziando a ribellarsi e che ciò che un tempo veniva dato per scontato, adesso non lo è più.
Basti pensare a quanto accadde quasi dieci anni fa in Nord Africa, dove la miccia fu innescata da Mohamed Bouazizi, un fruttivendolo tunisino che si diede fuoco per protestare contro l’ennesimo sopruso subito da parte della polizia, dando il là a una rivolta che ha posto fine a regimi che opprimevano i rispettivi popoli da trent’anni o, nel caso di Gheddafi, addirittura dal 1969.
Ora è di nuovo il turno dell’Europa dell’Est e sarà bene monitorare quando sta accadendo, evitare nuovi focolai di fascismo, ricordarsi che ai regimi di matrice comunista si sono sostituiti, specie negli ultimi anni, dei regimi di fatto di matrice fascista e scongiurare gli entusiasmi pelosi di quanti vorrebbero approfittare di una protesta di massa per fini egemonici di matrice nera.
L’impressione che si ricava, però, è che il popolo bielorusso, al pari di quello di Hong Kong e della timida opposizione a Putin, stia prendendo coraggio e che qualcosa di importante possa verificarsi nei prossimi mesi.
Se si tratterà di una rivoluzione, di un cambiamento epocale o di qualcosa di diverso, lo capiremo nei prossimi mesi. Per ora questa protesta con molti nomi, altrettanti volti, infinite storie e, per fortuna, ancora pochi leader, come la stagione orizzontale che stiamo vivendo del resto impone, è un bel segnale a tutti coloro che pensano di poter dominare con disumana protervia una nazione senza mai pagare le conseguenze dei propri misfatti. Non è così, e il ricordo di Solidarność, della sua nascita, della sua affermazione, delle sue battaglie e di ciò che ha rappresentato per una parte importante del mondo e, in fondo, anche per noi è un buon modo per ricordare a tutti i despoti del pianeta che, a lungo andare, la lotta per i propri diritti e per i propri ideali paga sempre.

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