In tre mesi 123 cronisti minacciati (e neanche le loro testate ne parlano)

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di ALBERTO FERRIGOLO

Il giornalismo, fare informazione? Un’attività sempre più a rischio. E rischiosa, allo stesso tempo. Secondo il Rapporto 2020 dell’Osservatorio “Ossigeno per l’informazione”, l’associazione che monitora e documenta le minacce subite dai giornalisti nel nostro Paese, promossa dall’Ordine dei giornalisti, in soli tre mesi – dal primo gennaio al 31 marzo scorsi – , sono stati ben 123 gli episodi di rivalsa a vario titolo e con le modalità più diverse contro giornalisti, fotografi, cameramen, operatori dell’informazione in genere. Episodi documentati e ben dimostrabili, che sommano le 77 intimidazioni “accertate” alle 46 “probabili”. Più di un episodio al giorno. E per lo più oscurati o trascurati dagli stessi media per i quali i giornalisti aggrediti lavorano.

Si va dal collaboratore del quotidiano “Il Roma” minacciato verbalmente dai parenti di un uomo deceduto a causa di infezione da Coronavirus (“Appena posso ti ammazzo”), alla giornalista Wendy Elliot e al cameramen dell’agenzia LaPresse intimiditi durante una manifestazione di CasaPound  (“Non puoi fare le riprese! Vuoi vedere che ti spacco la telecamera?”), passando alle minacce con promesse di morte,  lettere minatorie e proiettili recapitati in busta a Eugenio Scalfari e al direttore de “la Repubblica” Carlo Verdelli, licenziato in tronco lo scorso 23 aprile, fino alle querele intimidatorie per diffamazione contro i giornalisti de “L’Espresso” dopo la pubblicazione di 5 articoli sullo scandalo dei 49 milioni di rimborsi elettorali confiscati alla Lega e in gran parte svaniti.

SBATTERE LA TESTA

La casistica è varia, ma a questo punto non sono più tanto le minacce a dettare scandalo, quanto la poca rilevanza data alle stesse dalle testate per le quali i giornalisti lavorano. Così come da tutte le altre testate. Il tema è, dunque: perché alle minacce viene dato scarso rilievo? “È il punto su cui sbattiamo la testa sin dall’inizio della nostra attività -riflette Alberto Spampinato, fondatore nel 2009 dell’Osservatorio Ossigeno -perché gli episodi di minaccia costituiscono delle notizie in sé e per sé, se proprio si vuole escludere il fatto che riguardano anche dei giornalisti”. 

Dal punto di vista strettamente tecnico e secondo gli studi di criminologia le minacce e le intimidazioni sono catalogate come “reati spia”, ovvero finalizzati a coprire o a fare da schermo ad altri reati, spesso anche molto più gravi e rilevanti. Come nel caso di quel cronista di Bergamo che un giorno, di punto in bianco, viene massacrato di botte e l’episodio in sé – in un primo momento oscuro e inspiegabile s’è dimostrato come un tentativo maldestro di coprire uno scandalo ben più grande, quello del calcio-scommesse, che il cronista stava attivamente seguendo. Dunque un episodio-tassello anticipatore e rilevatore di quel che si sarebbe scoperto poi. E nel tentativo di coprire lo scandalo il giornalista venne picchiato selvaggiamente.

MEDIA AL GUINZAGLIO

“Quel che aveva scritto il giornale fino a quel momento non era ancora nulla”, dice adesso Spampinato: “Si tratta di minacce di copertura, perché in molti casi ciò che spunta nel quotidiano è solo la punta della coda. Poi – aggiunge l’animatore dell’Osservatorio – c’è anche un uso intimidatorio della querela da parte di molti soggetti criminali, come tentativo di coprire gli illeciti. La legge sulla diffamazione, che prevede il carcere per chi pubblica certe notizie, non agevola la ricerca della verità, ma diventa invece lo strumento per tenere i media al guinzaglio”.

I giornali e i cronisti locali appaiono il bersaglio più esposto e l’anello più debole della catena informativa e, allo stesso tempo, sono l’elemento più importante per l’informazione su questa materia, ha scritto Spampinato nell’introdurre il tema del Rapporto pubblicato nel 2019, dal titolo Molta mafia, poche notizie, argomento sul quale “dovrebbero essere chiamati a rispondere i direttori di giornali e di tv”. Tanto più, osserva ancora Spampinato, che “quando vengono pubblicate le notizie sulle minacce e le intimidazioni ai giornalisti non vengono mai contestualizzate, cosicché vengono presentati sempre come episodi isolati e non inseriti in un ambito criminoso specifico, di cui si finiscono per perdere i connotati, contribuendo così ad una più generale disinformazione”.  

Da professionereporter


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