‘Far finta di essere sani’. Il teatro Menotti rialza il sipario con l’omaggio a Giorgio Gaber

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Che l’uomo sia un essere malato e perituro lo si sapeva già ma mai come ora sentiamo la necessità di aggrapparci alla finzione di essere (ancora e nonostante tutto) sani, interi, vivi. Di esserci. E sta qui la grandezza dell’uomo: sentire di essere tutto, pur sapendo di essere nulla.

Il Teatro Menotti di Milano rialza il sipario a mezzanotte e un minuto del 15 giugno 2020 dopo quasi quattro mesi di silenzio in seguito alla chiusura forzata del 23 febbraio. È una scelta coraggiosa e dalla forte carica simbolica: si riparte anche con un pubblico ridotto di un quarto rispetto alla normale capacità a causa delle ferree condizioni imposte dalla normativa in vigore (120 posti su 500). Il direttore artistico, Emilio Russo, che firma anche la regia dello spettacolo-concerto omaggio a Giorgio Gaber con i bravissimi Andrea Mirò, Enrico Ballardini e i Musica da Ripostiglio, sottolinea questo importante momento di passaggio e il desiderio di segnare il passo aprendo proprio nel primo minuto in cui è stato possibile farlo. Certo, fa una strana sensazione vedere una platea modificata, con quei posti delimitati e distanziati nel rispetto dei rigidi protocolli sanitari. Quello che invece non dovrebbe sorprendere è che la voglia di teatro, di arte, di cultura, è viva e reclama di essere saziata. È stato detto che ‘non di solo pane vivrà l’uomo’!

La scelta di accogliere il pubblico sulle note di Gaber è significativa anche per la forza poetica dei brani portati in scena, che sembrano riguardarci in prima persona. Quando si prova sulla pelle l’insidia del nulla, dell’inadeguatezza quotidiana e la fatica di vivere in perenne contraddizione con un mondo esterno dai contorni sempre più inafferrabili e spesso penosamente grotteschi, sorge il desiderio impellente di scacciare il senso di irrealtà nel quale siamo improvvisamente sprofondati cercando ‘un gesto naturale’, riprendendo saldamente il possesso dei nostri corpi e delle nostre anime. Ora che stiamo finalmente riemergendo dalle nostre tane e dalle nostre celle, sentiamo l’urgenza inderogabile di esorcizzare l’atavica impotenza della condizione umana con quei gesti semplici e spontanei che così a lungo ci sono stati negati: ‘camminare in un posto, mangiare qualcosa’. Ma vogliamo anche ribadire con fermezza il valore sacro della libertà, del coraggio delle proprie idee e della dignità dell’io che non si lascia diluire nella ‘massa’ amorfa e senza volto. Nel dubbio tra realtà e irrealtà, tra bene e male, tra speranza e disperazione, scegliamo ancora una volta, come sempre, di esserci.

La libertà non è star sopra un albero

Non è neanche un gesto o un’invenzione

La libertà non è uno spazio libero

Libertà è partecipazione


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