I tanti Floyd d’America che possono portare a un cambiamento

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Ben Crump, nonostante fosse visibilmente provato, non ha usato mezzi termini durante il rito funebre del suo assistito, George Floyd: “Una pandemia di razzismo ha portato alla sua morte” ha scandito forte e chiaro dal pulpito della chiesa Fountain of Praise di Houston
Parole dure, ferme, che hanno rotto il silenzio di otto minuti e 46 secondi, il periodo di tempo in cui il 46enne afroamericano è stato trattenuto a terra col ginocchio di un agente sul collo, delle centinaia di persone accorse alla cerimonia per l’ultimo saluto all’uomo divenuto simbolo della lotta contro il razzismo negli Stati Uniti.
Nel frattempo, a pochi isolati di distanza, i  tre poliziotti accusati di aver  aiutato e favorito l’omicidio di Floyd di cui è accusato Derek Chauvin, che ha materialmente soffocato la vittima, comparivano in tribunale per la cauzione, fissata a 1 milione di dollari.
Una decisione emblematica, che lancia un messaggio indiscutibile: basta sconti e protezione ai tutori della legge che commettono abusi.
Con un ginocchio sul collo e la testa contro il cemento, George Floyd, è divenuto il volto di una delle più grandi rivolte della storia americana moderna.
Gli Stati Uniti, già in balia della  crisi economica a causa della pandemia di coronavirus, sono scossi dalle proteste che si susseguono in tutte le principali città, da Bew York a Seattle, da Washington a Denver. L’emergenza Covid 19  ha penalizzato soprattutto i neri americani, colpiti in modo sproporzionato dal contagio, con decine di migliaia di morti, e dalla perdita di posti di lavoro, 42 milioni di persone non hanno più un’occupazione.
Gli afroamericani, già sottoposti a generazioni di razzismo sistemico, sono ancora oggi vittime di quella che lo storico americano Carol Anderson ha definito “la saga più lunga della storia americana”.
La mobilitazione che si è animata dopo l’uccisione di Floyd  si è trasformata in una protesta contro la violenza delle forze dell’ordine e il razzismo delle istituzioni e, in generale, della società americana.
Ma si può dire che questa volta qualcosa sia cambiata in modo irreversibile?
Gli Usa a Minneapolis hanno visto materializzarsi come mai prima il terrore razziale: un poliziotto violento che uccide a sangue freddo un uomo inerme, uno sguardo senz’anima, un’indifferenza per la vita disumana.
L’angoscia e il dolore di quella morte terribile hanno segnato una svolta: le minoranze non accetteranno più in silenzio che i neri americani corrano il rischio di essere uccisi e sottoposti ad altre forme di violenza solo per il colore della loro pelle.
Sempre più testimoni stanno denunciando abusi di forze dell’ordine avvenuti in passato.
George Floyd, Maurice Gordon, Javier Ambler, Jamar Clark, Philando Castile, e potrei continuare a lungo, sono solo le ultime vittime della brutalità della polizia statunitense. La diffusione dei video sull’uso della forza negli Usa, fino a uccidere, è solo all’inizio.
Le persone hanno capito che è il momento giusto per farsi ascoltare e ottenere giustizia.
Che la consapevolezza generata da questa nuova ondata di proteste possa cambiare davvero gli Stati Uniti, a partire dalle elezioni di novembre, è tutto in divenire.
Va evidenziato che a manifestare oggi sono per lo più gli stessi gruppi che da sempre contestano e contrastano le conseguenze dei 400 anni di dominazione razziale che hanno caratterizzato la storia americana.
La maggioranza dell’elettorato che ha votato per Donald Trump non condivide questi ideali e difficilmente scenderà in piazza per difenderli né volterà le spalle al tycoon.
Ma il movimento Black Lives Matter si sta evolvendo, si vedono molte più persone bianche alle manifestazioni che in passato. Le stesse che chiedono importanti riforme della polizia, come l’abolizione del soffocamento e della profilatura razziale. In un recente sondaggio diffuso dalla Cnn, la maggior parte degli statunitensi, compresa una maggioranza degli elettori del Partito repubblicano, si è dichiarata dalla parte dei legislatori democratici, guidati dal candidato dem alle presidenziali di novembre Joe Biden, che hanno proposto una serie di modifiche ai dipartimenti di polizia negli Stati Uniti.
Nel dettaglio, l’82% degli americani vuole vietare il ricorso alla pratica dell’asfissia, il 92% chiede che la polizia federale indossi delle telecamere e il 75% che sia consentito alle vittime di violenza da parte di agenti in servizio di denunciare i dipartimenti di appartenenza per danni.
In generale il 39% degli intervistati sostiene la proposta di smantellare completamente il sistema dipartimentale della polizia e trasferire alcuni fondi attualmente destinati al budget dei dipartimenti verso programmi sociali, garantendo così maggiore sostegno finanziario per i senzatetto, la salute mentale e la violenza domestica.
Insomma, non c’è da aspettarsi un cambiamento radicale nella società americana, ma qualcosa si muove. E i 14 punti di vantaggio di Biden, secondo un recente sondaggio della CNN, su Trump, nella corsa verso la presidenza degli Stati Uniti, sono un segnale inequivocabile.


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