L’Afghanistan, come un pistacchio

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Il lavoro di Lorenzo Peluso “I Giardini di Bagh-e Babur” – dalla sabbia dell’Iraq alle montagne dell’Afghanistan – (Graus Edizioni euro 20,00) è uno scrigno bello nella sua estetica ma, soprattutto,  pieno di scoperte, emozioni, sussulti, interrogativi che vi sono al suo interno. Peluso è un esperto di vicende mediorientali, ha calcato il suolo di Afghanistan, Libano, Iraq, Siria, Turchia e Kosovo e di queste terre cerca gli occhi, la pelle, il sudore e i gesti delle popolazioni oramai diventate parte della sua stessa esistenza. E’ un viaggio nel ventre delle civiltà nate intorno ai fiumi Tigri ed Eufrate, nella Turchia di Erdogan e nella Siria dove ci si scontra ancora con sacche di resistenza dell’Isis. E’ un racconto dell’impegno dei soldati italiani che non lesinano sforzi pur di raggiungere l’obiettivo della pacificazione. Ma camminando in questi paesi si comprende “che finché c’è guerra c’è speranza”, la vendita di armi è un business in continua crescita che consente l’aumento esponenziale del PIL delle Nazioni più ricche. Un po’ alla De Gregori, “generale, la guerra è bella anche se fa male”.  Il taccuino di Peluso, però, si intreccia con le immagini scattate con il suo obiettivo da cui non si separa mai. Ma questo lavoro non è un freddo e asettico reportage. E’ uno strumento di riflessione intelligente, profondo e mai fine a se stesso. L’Afghanistan, paese da cui Peluso non riesce a star lontano è come un pistacchio “duro dal guscio resistente e spesso indistruttibile, ma con una polpa armoniosa e delicata che ti rapisce i sensi. Un guscio duro che impedisce quella necessaria rivoluzione culturale che porti al riconoscimento di diritti fondamentali”. Qui le donne non ne hanno nemmeno da morte visto che il loro nome non viene riportato neanche sulla tomba. In pratica si tratta di vite anonime, come quelle dei bambini dell’orfanotrofio di Herat o come le schiave del sesso. Parole e le immagini che Peluso ci regala sono dei pugni ben assestati nello stomaco capaci di mettere knock out anche il pugile più forte. La strada per raggiungere un cambiamento è ancora lunga e piena di ostacoli, anche perché, così come si legge nella prefazione di Carmine Pinto, docente di storia contemporanea presso l’Università degli studi di Salerno, che “gli uomini dello stato islamico non hanno nulla del combattente per idee, ma sono personaggi assetati di potere e di violenza, pronti a mettere le mani su istituzioni e territori devastati”. Questo mondo è anche difficile da raccontare. I giornalisti sono considerati alla stregua dei militari. In fondo, però, per i rappresentanti della stampa risulta difficile un po’ ovunque svolgere con attenzione il proprio lavoro. Negli ultimi 12 anni nel mondo sono stati uccisi circa 1000 giornalisti.


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