Il carcere ai giornalisti non va applicato. L’ultimo “richiamo” della Cassazione su una legge che lede la democrazia

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Ancora una volta una sentenza invita i giudici italiani a non applicare il carcere ai giornalisti perché ciò lede la libertà di espressione. Si conferma quindi la necessità di una celere abrogazione della norma tuttora vigente nel nostro sistema in base alla quale al giornalista ritenuto responsabile di diffamazione a  mezzo stampa può  essere comminata la pena del carcere.  L’ultima sentenza che valuta questa grave anomalia è stata emessa il 19 settembre dalla quinta sezione della Corte di Cassazione e ribadisce un netto no al carcere per i giornalisti, anche quando la pena è sospesa. Dunque nel caso di specie oggetto di valutazione la legge italiana verrà disapplicata poiché incompatibile con quanto stabilito  dall’articolo 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Sono fatte salve poche e gravissime eccezioni, quali i casi in cui gli articoli oggetto di giudizio abbiano leso gravemente diritti fondamentali, come i discorsi d’odio o di istigazione alla violenza.

Questo importante  verdetto precede di poco un altro, determinante, appuntamento giudiziario. A breve infatti la Corte Costituzionale sarà chiamata ad esprimersi sulla legittimità del carcere per i giornalisti, applicato per il reato di diffamazione a mezzo stampa, su sollecitazione del Tribunale di Salerno che ha sollevato, appunto, l’eccezione di legittimità circa l’applicazione della pena del carcere, che è contraria sia alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che a quanto stabilito dalla Costituzione Italiana agli articoli 3, 21, 25, 27 e 117. L’ordinanza contenente l’eccezione si riferisce ad un processo in corso a carico di un giornalista del “Il Roma”.

Il nodo del carcere ai giornalisti, peraltro, è stato già affrontato due volte dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo nelle cause  “Sallusti contro Italia” e “Belpietro contro Italia” e in entrambi i casi è stato affermato che la pena della detenzione comminata al giornalista condannato per diffamazione è sproporzionata rispetto allo scopo di proteggere l’altrui reputazione, in quanto viola la libertà di espressione che un “bene” superiore .

Sul piano giurisdizionale si va profilando un orientamento netto e ineludibile di abolizione del carcere per i giornalisti, non altrettanto succede in ambito legislativo dove le proposte sono ferme da troppi anni.  L’applicabilità della pena del carcere rende debole il ruolo di “controllo” della stampa e dunque lede il diritto ad essere informati, in definitiva indebolisce una democrazia. Per l’ennesima volta i giudici lo ricordano a tutti noi e al Parlamento. Adesso è il momento per capire chi vuole rispettare l’articolo 21 della Costituzione, fino in fondo.


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