La certezza della pena non intacca il garantismo

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Partiamo dal presupposto logico e giuridico che il delinquente è tale perché delinque e quindi l’istinto criminale può nascere nell’immigrato come nell’italiano, nel benestante come nel povero, nell’analfabeta come nel laureato: non esistono condizioni premonitorie tantomeno precostituite. Non esistono neanche condizioni di disagio specifiche che lo producano. Prevenzione e repressione, di conseguenza, non possono essere alternative, ma sono facce della stessa medaglia. Le conseguenze penali non sono e non possono mai essere una “vendetta” sociale. Oltre al contenuto riparativo hanno anche una funzione preventiva.

La pena, se efficace ed effettiva, previene, di fatto, la commissione di nuovi reati poiché mette in condizioni di non nuocere (anche con la rieducazione, per il periodo proporzionato alla gravità del crimine) le persone che hanno dimostrato di non osservare le regole della civile convivenza. In una società priva ormai di qualsiasi freno inibitorio la sanzione penale deve essere anche di monito a chi intende violare le regole pensando di farla franca. Per questo un sistema sanzionatorio basato sull’effettività e sull’efficacia della pena elimina la sensazione d’impunità e dissuade il potenziale reo dal commettere reati. Affinché il monito sia efficace, non è tanto importante la severità, quanto la certezza della pena.

L’Italia oggi è il Paese dalle tantissime leggi, temperate dalla loro generale inosservanza. Occorrono invece riforme serie, servono poche norme, chiare, applicate con inflessibilità. La certezza della pena non intacca assolutamente il “garantismo”, perché non ci si sogna minimamente di chiedere allo Stato una “vendetta” ma semplicemente l’applicazione della pena per i colpevoli, individuati con ragionevole certezza secondo procedure garantiste previste nei codici e nelle leggi. Premesso ciò, poi scontino effettivamente la pena inflitta sempre nello spirito della sua essenza costituzionale.

La certezza della pena è messa in crisi quando si applicano quegli indulti o quelle amnistie approvati “perché le carceri sono sovraffollate”. Contraddicono la certezza della pena anche gli sconti riconosciuti a molti condannati senza adeguata valutazione del loro effettivo percorso rieducativo. È altresì inaccettabile offrire – a chi ha scontato la propria pena, ma non ha fatto pubblica ammenda delle sue colpe – incarichi di prestigio politico e sociale. La connotazione più coerente e corretta di uno Stato che voglia veramente migliorare la condizione sociale e civile dei propri cittadini è strutturarsi per il perseguimento del bene comune e per quanto umanamente possibile per una giustizia e una verità concrete e non solo astratte. Affinché ciò possa accadere, la repressione deve procedere parallelamente alla prevenzione. Occorre stabilire per ogni reato una pena predeterminata, una pena base e ad essa affiancare un percorso rieducativo specifico. Io credo che in un Paese democratico come il nostro la pena vada personalizzata, cioè debba essere proporzionata alla gravità del fatto-reato, ma debba considerare anche la capacità del soggetto di essere recuperato alla vita sociale.

Questo però presuppone che ci siano le strutture adeguate all’interno e all’esterno del carcere. Situazione che in questo momento in Italia purtroppo non c’è! La certezza della pena è garantita anche da una risposta immediata da parte dello Stato. La pena non deve essere eccezionale, deve essere semplicemente quella prevista dalle leggi penali in vigore ma deve essere applicata tempestivamente mediante un processo che non può non essere celere. La richiesta di certezza della pena, soprattutto quando i criminali sono immigrati e non politici corrotti, ormai, è un luogo comune che si ripete come un ritornello.

La sicurezza sociale tanto richiesta a mio giudizio si raggiunge se c’è un processo celere con una pena certa, efficace ed effettiva. Credo che i cittadini italiani quando pensano alla certezza della pena vorrebbero che il reo andasse in carcere immediatamente, giudicato subito con un processo celere che lo faccia stare in carcere dopo la giusta applicazione della pena. Come diceva San Francesco d’Assisi: “Cominciamo col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso ci sorprenderemo a fare l’impossibile”.

*Vincenzo Musacchio – Giurista e già docente di diritto penale presso l’Alta Scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio in Roma


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