Sopravvissuto al caporalato, ora rischia di perdere il permesso di soggiorno

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Alagie Saho, 34 anni, è uno dei due migranti che si sono salvati dall’incidente del 6 agosto scorso nel foggiano in cui hanno perso la vita 12 braccianti. Oggi vive vicino Rimini, dove fino a novembre è inserito in un progetto Sprar. Ora la Questura gli ha revocato il permesso

 

BOLOGNA – Rischia di perdere il permesso di soggiorno per asilo Alagie Saho, uno dei due migranti che, il 6 agosto 2018, sono usciti vivi dal furgone carico di braccianti che, dopo essersi scontrato con un tir, si è ribaltato a Lesina, nel foggiano. In quel terribile incidente sono state 12 le persone che hanno perso la vita, tutti migranti con regolare permesso di soggiorno.
Oggi Saho sta bene e vive nel riminese dove è inserito in un progetto Sprar grazie al suo permesso di soggiorno per asilo che scadrà nel 2021. Ma rischia di perderlo. La denuncia arriva da Yvan Sagnet della Rete NoCap che, sul suo profilo Facebook, ha postato una sua foto insieme a Saho: “Invece di dimostrargli solidarietà, lo Stato ha deciso di revocargli il permesso di soggiorno: una ingiustizia alla quale ci opporremo. Alagie non sei solo”, scrive Sagnet che, raggiunto al telefono da Redattore Sociale, spiega: “Stiamo cercando di capire che cosa è accaduto, incontrerò l’avvocato di Saho ma al momento sembra che la Questura di Roma gli abbia revocato il permesso di soggiorno per asilo”.

In Italia dal 2014 e trasferito a Riccione grazie alla Croce rossa, Saho ha lavorato in Puglia nella raccolta di pomodori per due anni, fino all’incidente del 2018. In ospedale è rimasto due settimane per trauma cranico e schiacciamento del torace. “Cinque dei miei amici sono morti in quell’incidente – racconta Saho – Andavamo a lavorare e mangiavamo insieme”. Come racconta a Redattore Sociale, le giornate lavorative potevano arrivare anche a 12 ore o più, la paga era di 3,50 euro per ogni cassone a cui doveva essere tolto il costo del trasporto fino al campo pari a cinque euro. “Il giorno dell’incidente avevo fatti 17 cassoni, ma in genere non si guadagnava più di 30/35 euro al giorno – dice – I soldi ce li davano ogni due settimane, a volte ogni due mesi”. E per dormire? “C’erano le case abbandonate in campagna, senza acqua né luce. Se avevi i soldi potevi comprarti da mangiare per te stesso”, risponde. Ora però c’è il problema dei documenti, “prima dell’incidente ci pensavo molto, dopo quel giorno ho smesso e prego Dio perché mi vengano restituiti”, a cui si aggiunge la data di scadenza del progetto Sprar, “sono lì fino a novembre, poi non lo so”. (lp)

Da redattoresociale


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