Per un’etica della comunicazione:“dalle community alle comunità“ seminario USCI di Trento

0 0

A Trento si è svolto il 7 giugno scorso il seminario organizzato dalla Federazione cattolica stampa italiana: «Siamo membra gli uni degli altri. Dalle community alle comunità», che richiama il messaggio di Papa Francesco, divulgato in occasione della 53esima giornata mondiale delle Comunicazioni sociali: «Da quando internet è stato disponibile, la Chiesa ha sempre cercato di promuoverne l’uso a servizio dell’incontro tra le persone e della solidarietà tra tutti. Con questo Messaggio – scrive il Pontefice – vorrei invitarvi ancora una volta a riflettere sul fondamento e l’importanza del nostro essere-in-relazione e a riscoprire, nella vastità delle sfide dell’attuale contesto comunicativo, il desiderio dell’uomo che non vuole rimanere nella propria solitudine. L’ambiente mediale oggi è talmente pervasivo da essere ormai indistinguibile dalla sfera del vivere quotidiano. La rete è una risorsa del nostro tempo. Fonte di conoscenze e di relazioni un tempo impensabili. Numerosi esperti però, a proposito delle profonde trasformazioni impresse dalla tecnologia alle logiche di produzione, circolazione e fruizione dei contenuti, evidenziano anche i rischi che minacciano la ricerca e la condivisione di una informazione autentica su scala globale.

Se internet rappresenta una possibilità straordinaria di accesso al sapere, è vero anche che si è rivelato come uno dei luoghi più esposti alla disinformazione e alla distorsione consapevole e mirata dei fatti e delle relazioni interpersonali, che spesso assumono la forma del discredito».  Papa Francesco nel suo lungo e articolato messaggio cita San Paolo e la sua parabola “del corpo e delle membra”:«… bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri. (Ef 4,25) –, l’essere membra gli uni degli altri è la motivazione profonda, con la quale l’Apostolo esorta a deporre la menzogna e a dire la verità: l’obbligo a custodire la verità nasce dall’esigenza di non smentire la reciproca relazione di comunione. La verità infatti si rivela nella comunione. La menzogna invece è rifiuto egoistico di riconoscere la propria appartenenza al corpo, è rifiuto di donarsi agli altri, perdendo così l’unica via per trovare se stessi».

L’invito a parlare nella sede del Vigilianum di Trento è stato rivolto a don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana, Giuseppe Giulietti presidente della Federazione nazionale della stampa italiana; Giovanni Pascuzzi, docente di Diritto comparato alla Facoltà di giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento; Mauro Berti, esperto in rischi e risorse di internet e cyberbullismo. Il seminario, che è stato riconosciuto dall’Ordine dei giornalisti del Trentino Alto Adige per i crediti formativi, riconosceva  l’importanza  del messaggio del Papa per affrontare l’argomento sotto il profilo professionale, etico giuridico e deontologico. Giustino Basso giornalista e presidente dell’Usci del Trentino Alto Adige è intervenuto all’inizio del dibattito, spiegando come sia fondamentale parlare di «etica nei media e di comportamenti virtuosi nel campo della comunicazione nel 60esimo della costituzione dell’Unione cattolica stampa italiana. La giornata mondiale delle comunicazioni quest’anno assume un’importanza particolare per l’utilizzo dei social dove spesso il rispetto delle persone umane viene meno. I social sono i mezzi più esposti e distorti per quanto riguarda l’informazione. Disconnettendo la democrazia radicalizzano l’opinione pubblica multiforme e dannosa».

Rocco Cerone segretario regionale del Sindacato giornalisti ha preso poi la parola: «il senso di comunità è molto forte in Trentino in cui si dà valore al messaggio del presidente della Repubblica Mattarella a difesa della Costituzione italiana e a questo proposito è stata presentata a Roma nella sede della Federazione nazionale della stampa, la “Carta di Assisi” (il manifesto internazionale contro i “muri mediatici e l’uso delle parole come pietre” firmato dai rappresentanti delle tre fedi monoteiste, ndr)  a cui hanno aderito le comunità ecclesiali. Esiste un duplice disegno delle multinazionali dell’informazione per far saltare l’intermediazione a favore della disintermediazione. Dobbiamo difendere la capacità di discernimento come ci invita a fare il Papa».  Giovanni Pascucci nel presentare la sua relazione sul tema “Disinformazione e distorsione consapevole”, ha citato Mark Zuckerberg fondatore di Facebook ,autore di un editoriale sul Washington Post in cui sostiene la necessità di dotare internet di nuove regole e chiama in causa i legislatori: « Zuckerberg  sostiene con il suo intervento che gli utenti della rete non sono in grado di governarsi da soli anche se per molto tempo lo hanno fatto, i grandi player della rete non sono in gestire le regole e non è neanche giusto che lo facciano. La responsabilità è di chi ha un ruolo istituzionale nel regolare i rapporti tra le persone». Il docente di Diritto comparato nella sua esaustiva relazione sempre improntata all’analisi dei contenuti e mai formale, ha citato anche il saggio di Luigi Einaudi “Prediche inutili” (L’arte del buon governo e la crisi italiana: un insegnamento che conserva tutta la sua attualità) pubblicato nel 1959 e ancora attuale se si affrontano argomenti come quello trattato dagli interventi ascoltati. Le parole usate da Pascuzzi assumono così un significato preciso nel dibattito sul ruolo dell’informazione e della comunicazione: «mobilitazione, consultazione, processo deliberativo, digressione: la comunicazione istituzionale che diventa comunicazione politica. Spesso ci si chiede se sta parlando da ministro o capo politico quando leggiamo sui social una dichiarazione di un esponente della politica. La comunicazione da politica diventa pubblicitaria. Ma esiste un’etica della comunicazione pubblica? In rete? Cosa è  diventata la comunicazione pubblica? Sembra diventare il contraltare dell’apatia, un dialogo tra sordi che scivola nell’aggressione o nell’insulto. Sta morendo la coesione sociale prima ancora che la democrazia – ha proseguito Giovanni Pascuzzi – e l’insulto è il modo migliore per eludere i problemi, sublima il disprezzo e l’ambiguità».

Per Einaudi Simona Argentieri ha pubblicato “L’ambiguità”, un saggio di estrema utilità per comprenderne le conseguenze nefaste della comunicazione di questo genere. La prefazione spiega come «ambiguità e malafede sempre più si configurano come tratti dominanti della nostra epoca a livello individuale e collettivo, nelle relazioni amorose e in quelle sociali, nella politica e nella bioetica. Eludendo la verità interpersonale ed intrapsichica – sono al tempo stesso una nevrosi e un piccolo crimine, al confine tra la patologia e l’etica. Essere ambigui significa evitare il conflitto, il senso di colpa, la fatica della coerenza, lasciando convivere dentro di sé identità molteplici. Gli atteggiamenti mentali subdoli e sfuggenti nascondono falle del pensiero minime, ma non per questo innocue, in grado di inquinare, attraverso messaggi obliqui, i legami sociali, le stesse regole della convivenza civile, minando la fiducia tra i singoli come tra i gruppi organizzati, i cittadini e le istituzioni. È un dissimulare lieve, al limite tra conscio ed inconscio nel quale l’inganno viene fatto anche a se stessi. Al punto che può far scambiare la frequenza statistica con la normalità».

Il professor Pascuzzi nel concludere il suo intervento ha ribadito come la comunicazione avvenga tramite slogan: «la piramide si è rovesciata, dai principi di libertè, fraternitè, legalitè si è passati alla rottamazione, a “prima gli italiani”. La manipolazione è responsabile dei comportamenti delle persone allontanando la coesione sociale». Mauro Berti ha rilanciato quanto detto in precedenza nell’argomentare i rischi del cyberbullismo e del discredito alimentato dai social, sottolineando la difficoltà di sentirsi educatore in grado di trasmettere valori: «il cambio generazionale è stato così violento e i social hanno creato emozioni e azioni senza la guida di un adulto mentre i linguaggi sono cambiati. Gli adulti in precedenza si sono formati in un’era pretecnologica attraverso la conoscenza diretta. Oggi il linguaggio dei selfie manovrano un’economia mondiale e si viene a creare un abbassamento della stima, saltano i freni inibitori che poi portano i ragazzi a fotografarsi in privato e pubblicare ogni immagine anche la più intima. Si è venuto a creare la solitudine del nativo digitale in cui non esistono gli amici reali e il cervello si abitua a questa solitudine». L’esperto ha segnalato il rischio che si incorre nel togliere le barriere dei valori la cui conseguenza è l’insorgere della cattiveria della rete. Un esempio? :«I gruppi creati su wathsapp dai genitori dei figli che frequentano la stessa scuola. Le istituzioni, la scuola e le famiglie sono in crisi dove dimostrano  di essere più impegnati a farsi la guerra tra di loro che cercare un accordo per collaborare. Il ciberbullismo è la somma di tutti questi fenomeni della rete e le emozioni che si provano sono quelle provate di “pancia”. La solitudine dei giovani e la tecnologia che cambia i comportamenti alimentano forme di demenza digitale».

L’intervento di Giuseppe Giulietti  nel parlare de“La rete luogo di relazione e informazione” lancia ancora un grido d’allarme nei confronti della privazione dei diritti costituzionali con la soppressione delle voci minori: «Non possiamo stare in silenzio di fronte alla distruzione dei nostri valori democratici. Dobbiamo trasformare le parole in azione e dare vita alle parole delle nostre carte, ad iniziare da quelle contenute nella nostra Costituzione. Quella che viviamo oggi è una crisi della democrazia e facciamo nostre le parole del papa rivolte al coraggio del giornalismo, perché raccontare la verità significa educare e discernere. Per questo non possiamo accettare che siano messi a tacere giornali ed emittenti locali che ogni giorno danno voce a chi non ha parola. Un’informazione –  ricordava il cardinal Martini –  che non racconta le periferie delle conoscenze mette in crisi la democrazia. Dobbiamo attivare una scorta mediatica e illuminare le periferie. Le fake news sono come delle industrie per la campagna sistematica della distruzione informatica e i muri impediscono la libera circolazione delle idee. Stefano Rodotà predicava l’agorà che precede l’accesso alla rete. Curare la formazione del comunicatore  e del cittadino perché la rete non corregge la diseguaglianza». Giulietti pone una domanda essenziale a cui è necessario porre la dovuta attenzione: «Come accedere alla rete? Lo si può fare attraverso gli alfabeti della tradizione  e della trasformazione. Le diversità sono ricchezze a differenza dei regni che controllano l’informazione e l’omologazione del pensiero. Promuoviamo una giornata di difesa della stampa con la pubblicazione di un editoriale  ripreso dal motto del Washington Post dal titolo unico: Democracy dies in darkness” (la Democrazia muore nell’oscurità)  su tutte le testate italiane».

La conclusione del seminario, a cui erano presenti oltre 100 giornalisti, è stata affidata a Don Ivan Maffeis che ha spiegato nel suo intervento “Comunicatori di comunità” a quale rischi stiamo andando incontro: «assistiamo ad un sfilacciamento del tessuto comunitario, a forme sempre più gravi di intolleranza, all’aumento della povertà e diseguaglianza. Percezione di un sentimento diffuso fa nascere un senso di impotenza e rancore, di inadeguatezza. Nando Pagnoncelli (presidente della società di analisi e ricerche di mercato Ipsos Italia) nel suo libro “La penisola che non c’è”, affronta temi quale la percezione distorta della realtà. Parla di comunità difensive rispetto ad un mondo caotico ostile che si chiudono in un cerchio ristretto dove hanno necessità di trovare un nemico da cui difendersi. In rete questo meccanismo trova uno sviluppo maggiore. Porta ad una comunicazione diretta senza intermediazione. Comunità significa imparare a condividere con la diversità e il rapporto con l’altro. Il Papa cita San Basilio quando dice “l’altro ci è necessario” perché si ha bisogno l’uno degli altri. Negare l’inclusione con l’altro significa negare la verità e dare valore alla menzogna.  Il rischio enorme per la democrazia è la scelta di chiudere i giornali diocesani (nella sede del Vigilianum di Trento c’è la redazione di Vita Trentina diretta da Diego Andreatta e dove lavora anche Augusto Goio giornalista eletto nel Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti), ben 180 testate esistenti sul territorio. La sussidiarietà  vuole combattere la rappresentatività democratica e non i giornalisti. Non si tratta di una battaglia di bandiera ma della salvaguardia delle voci presenti sul territorio. Eliminare i corpi intermedi in rete con l’obiettivo di abolire l’informazione certificata, favorendola come spazio svincolato dalle leggi. Il nemico è il pensiero critico».


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21