Il problema non è Lucci ma l’assenza dello stato e della cultura in quelle zone disagiate

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Gli insulti a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino trasmessi dall’emittente di Stato sono gravi e imperdonabili. Qui tuttavia non è in discussione la libertà di parola, ma l’intelligenza umana.  La tv privata può anche scegliere il vuoto mentale, quella pubblica, finché resta tale non può in virtù del fatto che tutti i cittadini pagano un canone per mantenerla. Per onestà intellettuale va anche detto che è giusto raccontare questo mondo sommerso che purtroppo esiste e che, non dimentichiamocelo, arriva a milioni di visualizzazioni sui social e ha gli adolescenti tra i suoi sostenitori più importanti. Fare come lo struzzo e mettere la testa sotto la terra, non credo sia una scelta condivisibile.

Io provengo da una piccolissima regione (il Molise) dove il negare l’esistenza della mafia fino a poco tempo fa era prassi consolidata a ogni livello istituzionale e sociale. Quanto male ha fatto alla lotta alla mafia il negazionismo? Tantissimo. Hanno suscitato scandalo le parole dei due cantanti meridionali che hanno detto in televisione che i due magistrati avrebbero dovuto mettere in conto questa possibilità. Ci siamo scordati che un certo Giulio Andreotti commentò l’assassinio di Giorgio Ambrosoli con la frase orribile: se l’è andata a cercare! La memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è sacra, e qualsiasi parola che la offenda provoca fortunatamente ancora un sussulto. In questi casi però oltre alle parole contano anche i fatti. È la prima regola per analizzare un contesto. A questo punto mi soffermerei di più sul fatto che in Italia ci sono ancora molte persone che pensano e sentono come questi due ragazzi.

Una subcultura che esalta il mafioso e non chi la mafia la lotta anche a costo della propria vita. Prevale l’anti-Stato e non lo Stato. Se fossimo obiettivi, dovremmo chiederci perché accade questo? Il problema non è il programma di Lucci ma è che esistano ancora tanti italiani che la pensano come i due neomelodici. Finché esisterà questa subcultura, la mafia non sarà mai sconfitta. In una Nazione dove lo Stato è stato spesso assente nella lotta alle mafie, l’attuale decadimento non ci può e non ci deve stupire più di tanto. Diceva spesso il generale Dalla Chiesa che la mafia altro non è che il far ottenere come privilegio quel che invece spetta di diritto! Laddove lo Stato sociale è assente, la “mafia assistenziale” produce lavoro, stanzia risorse e acquisisce consenso. Lo Stato non solo non reagisce a queste circostanze ma sta abbassando la guardia. In una Nazione come la nostra – dove le mafie esistono dalle origini dello Stato italiano – nelle scuole di ogni ordine e grado non si studia il fenomeno mafioso. La cultura è il vero antidoto al veleno inoculato dalle mafie. È importante che oggi ci sia la consapevolezza che in Italia c’è un vuoto culturale di non poco conto. Si ha paura di affrontare una questione così delicata, che purtroppo tocca anche la vita quotidiana delle persone. Se mi fermassi solo a questi aspetti, dovrei imputare la colpa unicamente allo Stato, invece così non è, poiché quando lo Stato è assente, quando lo Stato si volta dall’altra parte, la società civile – cioè noi tutti – dovrebbe quantomeno provare a sostituirsi a esso facendo fronte comune tra i cittadini e ricercando i principi di verità e giustizia. Gli italiani disgraziatamente oggi sono narcotizzati e l’Italia è in profonda crisi culturale e morale preda delle mafie di ogni specie. Lo Stato italiano è sceso a patti con la mafia. Questo è scritto nella sentenza della Corte d’Assise di Palermo. Afferma una verità sconvolgente. Lo Stato ha trattato con Totò Riina, Leoluca Bagarella e altri stragisti, trasmettendo le richieste, i messaggi di Cosa Nostra ai governi. E noi ci vogliamo lamentare di Enrico Lucci e dei suoi neomelodici?

(Vincenzo Musacchio, Presidente Osservatorio Antimafia del Molise)


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