Cannes 2018. Matt Dillon presenta in Italia“La casa di Jack”, horror di Lars Von Trier

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Lars Von Trier, cacciato da Cannes per via di alcune ambigue dichiarazioni sul nazismo, nel 2018 era tornato sulla Croisette con “The House that Jack built”, film che cita Speer, uno dei maggiori architetti del terzo Reich; gli Stuka, aerei da bombardamento usati dalla Luftwaffe; l’operare nazista con icone nell’ottica della creazione e dell’immagine. Uscirà in Italia il 28 febbraio con il titolo “La casa di Jack”.

Matt Dillon, il suo protagonista, lo ha presentato a Roma. Del personaggio che interpreta dice: “Jack è un uomo che non prova empatia, fallito in campo artistico. Un serial killer che tuttavia anela a essere preso. Ho potuto reggere la parte perché interiormente tenevo le distanze da lui”. Siamo negli anni 70, in USA.  Jack è un serial killer di elevata intelligenza, ritiene che ogni assassinio debba essere compiuto quale opera d’arte. Ogni omicidio è illustrato e catalogato come incidente e ne collezionerà molti. Finché arriva a costruire una vera e propria casa con i corpi dei malcapitati

Lars VonTrier racconta dodici anni della vita di quest’ossesso pluriomicida facendolo dialogare, su temi morali e intellettuali, con Virgilio – interpretato dal bravo e appena scomparso Bruno Ganz – che deve traghettarlo nell’Ade. Alcuni attribuiscono al lungometraggio il requisito di autoanalisi del regista stesso. Trier ripete divertissement già utilizzati e inserisce non poche citazioni, tra cui il detto sartriano “ l’inferno sono gli altri”: dove una delle vittime è spinta inutilmente a gridare, a dimostrazione che nessuno viene in aiuto. Matt Dillon afferma di non credere al concetto, anche se guardando la realtà non può negare che un fondo di verità esista.

L’abitazione di Jack è un inferno sulla terra. Nel suo girovagare l’uomo arriva alla soglia dei campi elisi – luogo che, secondo la mitologia greca e romana, accoglie dopo la morte l’anima di chi è amato dagli dèi.  A lui però la porta resta chiusa: Jack non può sperare di avere la benevolenza divina perché il suo è un mondo di odio. Pur se molti ritengono il film una confessione del regista, c’è da sperare che Trier abbia voluto, calcando la mano, soprattutto stupire.


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