La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi

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Fu una giovinezza segnata dalla Resistenza, all’insegna della passione civile negli anni del dopo guerra, fu una maturità consolidata nell’impegno nelle Istituzioni, che condusse Tina Anselmi nell’ottobre del 1981 alla Presidenza della Commissione Bicamerale Inquirente sulla Loggia Massonica P2 di Licio Gelli, la cui esperienza è testimoniata dai 773 foglietti, custoditi per anni, prima che l’onorevole decidesse di affidarmeli perché quel diario segreto divenisse memoria condivisa.
“Spero che i miei foglietti aiuteranno a cercare la verità che scaccia la paura che disorienta, genera vuoto, indifferenza”. Mai fu indifferente, Tina, mai smentì i suoi ideali, anche quando subiva l’affronto di chi nel Parlamento, sussurrava: “Che fissazione questa Tina, con Gelli e la P2! Chi glielo fa fare?”. Donna coraggiosa in un mondo di troppi uomini codardi, dava fastidio La Tina vagante, era chiamata così, con affetto dai suoi stessi amici, fin da quando si era affacciata nella Democrazia Cristiana con ruoli istituzionali, alla fine degli anni Cinquanta. Adesso la posta in palio era la difesa delle Istituzioni dal progetto eversivo di Licio Gelli.
Credo che non si possa scendere nella profondità di questi foglietti, senza tornare indietro al marzo del 1978 che segnò e lacerò la vita di Tina oltre che di tutto un paese. Il 16 marzo Aldo Moro fu rapito dalle Brigate Rosse, uccisi gli uomini della scorta: Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi. Tina, durante i cinquantacinque giorni della prigionia di Moro tiene i rapporti, tra la famiglia, la signora Eleonora, i figli, la Dc e il Governo.
“Quando io come tanti, nell’autunno del 1944, scegliemmo la lotta armata, sapevamo di stare dalla parte giusta, la storia ci avrebbe dato ragione, ma quando affrontammo i crudeli giorni della primavera del 1978, quando ci battemmo per la legalità, dopo l’assassinio di Moro, quale legalità fu ripristinata?”. Nel 1981 accettando dalla Presidente della Camera, Nilde Iotti, la Presidenza della Commissione, Tina non avrà più la necessità di interrogarsi come durante il sequestro Moro: la ragione di Stato e la certezza della risposta andranno di pari passo. Sa quali rischi dovrà affrontare, quale scia di sangue attraversa la P2, quello che non può sapere e che scoprirà, è che parte della Dc sfiora o fiancheggia quel sistema e che in molti, con una trasversalità che ha già inquinato gli altri partiti e i luoghi dove si decidono i destini del Paese, si sono limitati a voltarsi da un’altra parte. Scoprirà che i mandanti della morte del padre politico, dell’amico, di Moro, dell’uomo che hanno ammazzato perché un progetto politico non si realizzasse, potrebbero essere tra gli uomini delle istituzioni, coperti… già da chi e come?
Davanti a Tina, sfilano le massime cariche dello Stato e dei partiti. Solo e sempre uomini in un intreccio di parole tra inquisiti, testimoni, protagonisti, comprimari, giudici, commissari, poliziotti, politici, avvocati, finanzieri, faccendieri, banchieri, spie, responsabili dei servizi segreti deviati, devianti, militari, massoni in vita, in sonno, restituiti, massoni piduisti, reclutatori, massoni inconsapevoli, apprendisti, massoni all’orecchio del Gran Maestro, massoni muratori, maestri venerabili e segretari. Massoni ovunque. E al centro di questo gioco perverso del potere, c’è il fuggiasco, poi latitante, convitato di Pietra, Licio Gelli.
Cresce la sovra eccitazione del Potere davanti a questa donna che con sguardo limpido registra, sui suoi foglietti, la pavidità, la stupidaggine, degli uomini che dovrebbero governare l’Italia. Mentre la classe dirigente balbetta le sue scuse, le sue giustificazioni, i suoi mea culpa, i suoi non sapevo, tra i cittadini cresce l’attenzione a questo scandalo e la stima verso Tina che, come tanti servitori dello Stato misconosciuti o conosciuti, come Ambrosoli, Falcone, Borsellino, guarda l’altra faccia della luna.
Eroi borghesi, dotati di un carisma che nasce dalla forza interiore, dall’adesione alla concretezza della vita, senza abbandonare tuttavia la propria utopia, che vengono fatti fuori, in un modo o nell’altro, quando vanno “là dove non dovrebbero andare”. La mafia mette le bombe. Una parte dello Stato li isola, fa terra bruciata intorno, trama dall’interno in sordide alleanze. “Se non mi hanno ammazzata è perché ero una donna, non credevano che avrei avuto la forza di andare fino in fondo”. Muoiono ma le loro idee restano.

Fonte: Blogautore Repubblica


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