Palermo, scambio di bare davanti all’autorimessa di Calì. E intanto la storia di Daniele Ventura arriva in teatro

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Avevamo scritto di Daniele Ventura e della sua storia in giugno, intitolando l’articolo “Da Palermo con amore” perché ci era sembrato contagioso l’ottimismo con il quale lui ci aveva raccontato di affrontare la vita nonostante Cosa nostra avesse provato a distruggerlo. Lui che con la mafia non aveva mai avuto niente a che fare, anche se è nato a Brancaccio nel quartiere dove i fratelli Graviano avevano ucciso Don Pino Puglisi.

Avevamo raccontato del suo sogno imprenditoriale: il New Paradise, un bar che aveva aperto tra il porto di Palermo e il Teatro Politeama e che era stato costretto a chiudere dopo aver denunciato i suoi estorsori e dopo che la gente nella zona, anziché supportare quel suo gesto sfinito, lo aveva abbandonato con crudeltà e contrarietà, perlopiù manipolata dalla paura che da sempre fa grande la mafia. Nell’operazione “Hybris” che ne scaturì, su ordine della Dda di Palermo, vennero arrestate 35 persone e disarticolati i mandamenti di Pagliarelli e Porta Nuova. Tra i condannati, anche grazie al successivo processo “Panta Rei” nel 2017, c’erano il boss Gaspare Parisi e Nunzio La Torre. Anche in quel processo a svelare nomi, cognomi e usanze era stato un pentito al quale alla fine era stata diminuita la pena: Giuseppe Tantillo, mentre il pentito conosciuto da Daniele era Francesco Chiarello che avrebbe cominciato a collaborare con la giustizia per aver svelato particolari interessanti sull’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà e che ora si trova in una località protetta.

Dopo i problemi economici riscontrati per la chiusura dell’attività e il processo in tribunale, avevamo concluso il nostro articolo con la speranza che per Daniele potesse nascere un’opportunità di riscatto perché gli era venuto incontro un altro imprenditore antiracket, Gianluca Maria Calì, al quale era stato dato in gestione un bene confiscato nel quale lui aveva aperto un’autorimessa, la Calicar in zona Bonagia. Purtroppo constatiamo ora che i problemi da loro denunciati allora non si sono esauriti, come hanno testimoniato davanti alle telecamere di Palermo Today il 12 settembre scorso intervistati da Riccardo Campolo e Rosaura Bonfardino.

Daniele mi racconta che “il giorno dopo l’intervista, abbiamo avuto nuovamente il passaggio di bare davanti al cancello, per farti capire qui in continuazione passano ragazzi sugli scooter a dire parolacce e fare brutti gesti. Però noi comunque andiamo avanti ugualmente”. Gli chiedo incredula dello scambio di bare: “Si fermano con un camion qui davanti e prendono le bare incellofanate, vengono i furgoni piccoli e se le passano proprio qui davanti, considera che siamo nel viale della Regione ed è una strada molto trafficata, centrale diciamo, poi davanti a un’attività commerciale… Sono piccoli avvertimenti, perché non è una cosa normale, non si è mai vista, guarda caso davanti al cancello di un’attività antimafia!”. Perché Calì ci tiene a far sapere che lui il pizzo non lo paga con adesivi e scritte inconfondibili davanti all’entrata dell’autorimessa.

Lo troviamo stanco ma sempre ottimista, proprio lo stesso umore che ci aveva contagiati mesi prima. Dunque non ci sorprende sapere che nonostante tutti i problemi c’è una novità. Nel ricordo di Falcone e Borsellino e negli insegnamenti che i suoi genitori hanno dato a lui e ai suoi fratelli, Daniele spinge sempre le sue forze e i suoi intenti verso la legalità. Ne è la prova più tangibile il suo libro, dal titolo emblematico “Cosa nostra non è cosa mia”, che è stato ben accolto dal pubblico, tanto è vero che la sua casa editrice, La Zisa, poco prima dell’estate è stata contattata dall’associazione di volontariato Miscelarti che a Palermo, in un bene confiscato in via Spedalieri 42 ha aperto una biblioteca nella quale l’editore ha donato dei libri per arricchirne il numero e il contenuto. A capo dell’associazione c’è il regista e attore teatrale Francesco Lambri che venuto a conoscenza della storia di Daniele ha deciso di incontrarlo per creare un’opera teatrale dedicata alle scuole. Tempo di fare la riduzione teatrale del testo e da un mese lui e il suo cast stanno lavorando alla messa in scena dell’opera che con ogni probabilità vedrà la luce a fine novembre, quando è prevista una prova generale a Custonaci, in provincia di Trapani, mentre la partenza ufficiale è a gennaio da Palermo e poi via via in tutta la Sicilia, senza escludere di poter esportare il progetto anche sul continente. Lambri fa parte di un collettivo di autori e registi teatrali, le quali idee e progetti per la legalità sono supportati dalla Sound Power Service che fa base proprio a Custonaci e che da almeno cinque anni supporta economicamente e logisticamente la tournée nei teatri per le scuole.

Raggiungiamo il regista telefonicamente per chiedergli com’è nata l’idea di trasporre la vita di Daniele in una recita teatrale. “Ho pensato che raccontare questa storia fosse importante perché è comunque una cosa che sta accadendo, cioè che non è una cosa che è finita nel tempo e non è una cosa che produce una sorta di santificazione laica di persone che hanno combattuto contro la mafia dopo che sono morte”, spiega Lambri. “Non va narrato come una cosa antica e già passata, perché lui è comunque un ragazzo che c’è e mi piace anche, nella speranza di fare quante più date possibili in Sicilia, la possibilità di incontrarlo, di parlargli, che i ragazzi abbiano la possibilità di chiedere com’è vivere così e soprattutto perché si è trovato a vivere così visto che lui con la mafia non c’ha proprio niente a che fare”.

Il regista ha un’idea del teatro plurale ed educativa, lui stesso ci racconta che ai ragazzi non è solito dare risposte certe, perché “rischiose e controproducenti”, ma che li rimanda a leggere e ad informarsi, come forma ultima di disobbedienza civile e critica. Gli attori saranno due, lui e Renato Bica, mentre gli altri personaggi seguiranno la traccia raccontata nel libro in una forma monologata che Lambri riprodurrà sul palco e nella quale interverranno dei flash-back come gli episodi dell’infanzia di Daniele, le stragi di Capaci e via d’Amelio, la vita del quartiere, le fasi della realizzazione del sogno imprenditoriale fino all’inizio dell’incubo. In tutte queste fasi compariranno gli altri personaggi: il cugino, il mafioso che gli chiede il pizzo, il giudice in tribunale. Il monologo finale è invece stato rielaborato per porre l’accento sulla presenza-assenza dello Stato: il modo paradossale che ha la mafia di aiutarti pur di ricevere indietro un pagamento, il pizzo, e il modo in cui allo stesso modo lo Stato invece fatica a tutelarti.

Lambri, girando spesso con le scuole in tutta Italia, ha chiaro in mente il motivo per cui molti ragazzi ancor oggi non trovano nella storia della mafia una verità e arrivano a chiedersi, addirittura, se veramente esista. Mentre ragazzi e bambini siciliani e del nord Italia, in modo diverso, sono preparatissimi sulla storia della mafia e su quanto accaduto in passato, “ci sono zone di Italia in cui sembra una cosa che non esista e una cosa scollata dal quotidiano – riprende Lambri – , un problema geografico. Quando cerco di spiegare ai ragazzi quanto è invadente e quanto incide la mafia, non solo nel quotidiano di una persona singola ma anche proprio sulla vita politica, sulla vita economica, in modalità occulte, cioè che noi tangibilmente non vediamo visto che non siamo nel periodo storico delle grandi stragi e alcune cose accadono in maniera occulta, i ragazzi un po’ cominciano a farsi le domande che poi è l’obiettivo più grande del lavoro che faccio”.

Daniele è entusiasta dell’idea del regista di trasformare la sua storia, dal risvolto se vogliamo anche drammatico, in un’opportunità di cambiamento e insegnamento a bambini e ragazzi, ironicamente consapevole di poter cambiare proprio grazie a quanto avvenuto nella sua vita. Curioso infatti che sia proprio grazie all’operato della mafia e alla lentezza dello Stato se alla fine il fenomeno verrà eliminato. E sapere che basta veramente poco, come ci ha confermato il regista con disarmante semplicità: “Perché aspettare un nuovo Libero Grassi, perché aspettare che sia sempre troppo tardi e poi piangere o fare grandi manifestazioni? Alla fine basta veramente poco: cioè sostenere chi segue le regole, chi è limpido nel modo di muoversi, chi è che ha subito una vessazione mafiosa, va difeso e supportato”.


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