Gaza. Israele fa saltare gli accordi di tregua con Hamas

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Poche ore fa altre due giovani vite sono state uccise dalle armi israeliane a nord di Gaza. Ad essere preso di mira è stato un luogo che altrove sarebbe stato chiamato ufficio o sede di riunione, o sede politica, ma che Israele comunica alla stampa come “postazione di Hamas” riuscendo, per la magia mediatica che le parole giuste riescono a creare, a spegnere l’attenzione sul crimine appena commesso e ad accenderla sulla capacità evocativa di terrore che ha la definizione scelta e che giustifica gli omicidi a priori.

I due giovani uccisi si chiamavano Ahmad Murjan e Abed al-Hafez al-Silawi e facevano parte delle brigate Izz al Din al Qassam, vale a dire la resistenza armata di Hamas. Dire resistenza armata, forse è bene cominciare a chiarirlo anche negli articoli di cronaca, non significa dire necessariamente terrorismo, sarebbe come chiamare terrorismo l’arma dei bersaglieri perché, facendo parte dell’esercito possiede le armi!

È l’azione o meglio ancora la strategia che precede e segue le azioni che può essere o meno definita terrorismo e, in questo senso, la strategia israeliana e le sue azioni sono generalmente terrorismo puro sebbene percepite, per abilità lessico-mediatiche e patronage internazionale, come azioni difensive e niente affatto illegali.

Per quanto Israele uccida impunemente e quindi a suo capriccio i palestinesi visto che, come scrive il giornalista israeliano Gideon Levy “il sangue palestinese è merce a costo zero”, una ragione precisa per uccidere a freddo i militanti della resistenza ogni volta che si profila una tregua con Hamas sicuramente esiste. La prima ragione che viene in mente è la provocazione. Cioè Israele provoca la resistenza palestinese per avere una risposta che poi, mediaticamente, userà come giustificazione alle sue azioni potendo giocare sulla confusione dei tempi azione-reazione e sulla benevolenza dei media mainstream che in gran numero sotto sotto il suo indiretto o diretto controllo.

Vediamo i fatti. Hamas, con la mediazione dell’Egitto, ha accettato i termini per una tregua che somiglia allo storico umiliante passaggio sotto le Forche Caudine dell’esercito romano ma, per quanto umiliante,  le condizioni sempre più drammatiche in cui Israele ha gettato la popolazione gazawa hanno  indotto la dirigenza di Hamas ad accettare.

Ma Israele sembra il gigante ghiotto, quello che dopo il primo boccone vuole il secondo e dopo il secondo il terzo fino a non avere più bocconi da ingurgitare. Così ora Israele torna indietro e pone altre  condizioni e Hamas capisce il gioco e torna a sua volta indietro dicendo che sono inaccettabili. Israele sta giocando al gatto col topo sapendo che il popolo gazawo è allo stremo e non perdonerà ad Hamas di non accettare la tregua rinunciando così ai promessi sussidi umanitari.

Ma a Gaza c’è uno zoccolo duro e questo non è dato solo dalla resistenza organizzata. Lo ha dimostrato la partecipazione alla “Grande marcia”, per quanto se ne volesse dare la paternità ad Hamas la “Grande marcia” ha seguitato ad essere un movimento di popolo composto da moltissimi palestinesi che con Hamas non spartiscono niente. Allora cos’è che vuole Israele?

La nostra analisi non è difficile, peraltro la dinamica dei fatti rispetta un copione ormai reiterato e facilmente riconoscibile, ma per aver il polso della situazione dall’interno abbiamo intervistato due palestinesi, uno di Fatah, che sceglie l’anonimato ma ci rilascia la sua opinione, ed uno di Gaza che ci autorizza a pubblicare il suo nome.

Il palestinese di Rafah, nostra fonte attendibile abituale, ci dice che molto semplicemente questa tregua Israele non la vuole e non solo perché i falchi del governo ebraico seguitano a sognare una guerra genocidaria, ma perché la tregua porterebbe aiuti umanitari e questo restituirebbe ad Hamas un po’ di quella simpatia popolare che le durissime condizioni di gran parte del popolo gazawo gli hanno alienato. Quindi Israele alza continuamente la posta e ora non gli basta più la resa garantita da Hamas, ma mette altro sul tavolo delle trattative, come le informazioni sui suoi due soldati detenuti che, in realtà, erano già oggetto di trattative separate a prescindere dalla tregua.

Il nostro interlocutore di Gaza city invece –   il giornalista e video maker professionale Monther Rasheed, estraneo ad ogni orientamento politico ma puro osservatore come ci tiene a precisare  – è convinto che Israele stia provocando la resistenza cercando di trascinarla in una guerra di cui gli esiti, dal punto di vista umano, sono facilmente e tragicamente prevedibili. Aggiunge che l’accettazione da parte di Hamas delle condizioni egiziane ha spiazzato Israele il quale quindi ha modificato le regole a tavolino – come ogni baro durante la partita sa fare, aggiungiamo noi – e pone come nuova condizione per consentire il passaggio di merci essenziali da Kerem Shalom l’ottenimento di  informazioni circa i suoi due soldati detenuti da Hamas. Secondo Monther Israele gioca sul disastro umanitario da lui stesso prodotto per far pressione su Hamas,  sapendo che gran parte del popolo di Gaza è ormai con l’acqua alla gola e davanti alla fame, come la Storia insegna, ogni governo perde potere sul proprio popolo.

Insomma sembra un guerra fatta di battaglie di cui non si vede quale potrà essere quella definitiva, quella cioè capace di interrompere lo stillicidio di vite umane palestinesi e condurre Israele nell’alveo della legalità. La riconciliazione Fatah – Hamas ha sicuramente il suo peso in questo possibile percorso, ma forse proprio per questo, che non è un motivo di poco conto, quella riconciliazione sembra impossibile a realizzarsi.

Intanto si aspetta la reazione delle brigate Al Qassam che farà dire ancora una volta  ai media, secondo prevedibile e noioso copione, che Hamas ha rotto la tregua.


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