Trump rompighiaccio del governo populista

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Sembrava tutto perduto, invece è partito il governo M5S-Lega guardato con timore dall’Europa e dai mercati. Due segnali, uno piccolo e uno importante. Poi, improvvisamente, si è risolto il quasi insolubile rebus. Prima dal muro di cinta della sede del Carroccio di via Bellerio a Milano è stata cancellata la colossale scritta “Basta euro”. Poi giovedì 31 maggio è arrivato il messaggio della Casa Bianca affidato a ‘La Stampa’: «Noi non vediamo le potenziali nuove elezioni come una richiesta di mettere in discussione la presenza dell’Italia nell’Unione Europea». Donald Trump ha fatto da apripista, ha dato il disco verde al governo populista e sovranista italiano, molto simile al suo, rassicurando i mercati finanziari internazionali.

Populismo sì, populismo no. Beppe Grillo e Matteo Salvini in passato hanno rivendicato con orgoglio di essere dei populisti. Giuseppe Conte, chiedendo il 5 giugno il voto di fiducia al Senato, senza urla e con voce compassata da professore, non ha negato lo spirito populista del suo governo: «Se populismo è attitudine ad ascoltare i bisogni della gente, allora lo rivendichiamo».

Il presidente del Consiglio ha declinato un pragmatismo a “un cambiamento radicale”. Ha annunciato la volontà di applicare “il contratto di governo” frutto del travagliato negoziato tra il M5S e la Lega: 1) la fedeltà alla scelta europea e alla alleanza con gli Usa, ma anche l’intenzione di cambiare le regole della Ue e intende cancellare le sanzioni alla Russia di Putin; 2) la lotta all’immigrazione clandestina «ma non siamo e non saremo mai razzisti»; 3) lo stop ai vitalizi dei parlamentari e il taglio delle “pensioni d’oro” cioè «sugli assegni superiori ai 5 mila euro netti mensili nella parte non coperta dai contributi versati». Il punto centrale del programma di governo, però, è la lotta contro le disuguaglianze sociali e per il lavoro: reddito di cittadinanza, flat tax e superamento della legge Fornero sono i cavalli di battaglia ma hanno un alto costo (almeno cento miliardi di euro). Il presidente del Consiglio non ha dato particolari su come intervenire (in particolare non ha citato l’ipotesi quota 100 per andare in pensione anticipata). Il Senato ha concesso la fiducia all’esecutivo grillo-leghista con 171 sì, 117 no e 25 astenuti.

Le parole di Conte hanno innervosito i mercati ma non troppo: la Borsa ha perso oltre l’1% e lo spread è risalito chiudendo a quasi 240 punti rispetto ai circa 210 della mattina. Il miracolo che ha prodotto il governo cinquestelle-leghisti è avvenuto il 31 maggio. Matteo Salvini ha accettato alla fine lo spostamento del suo pupillo Paolo Savona proposto da Luigi Di Maio, dal cruciale ministero dell’Economia a quello per le Politiche Europee. La mediazione ha sbloccato la paralisi. Sergio Mattarella ha dato il suo placet, negato invece domenica 27 maggio perché il segretario leghista aveva fatto le barricate, e il capo politico cinquestelle lo aveva appoggiato, nel volere l’economista euroscettico al dicastero dell’Economia. Il capo dello Stato, al secondo tentativo in 4 giorni, ha affidato al professor Giuseppe Conte l’incarico di guidare l’esecutivo giallo-verde.

Niente elezioni politiche anticipate date ormai per scontate, invece è sorto il primo governo populista della Repubblica italiana e il primo dell’Europa occidentale. La “Terza repubblica” secondo di Maio.

I mercati, dopo la bufera, hanno accettato con riserva l’arrivo del tandem populista al governo. Prudenti segnali di apertura, dopo il presidente americano, sono giunti anche dai governi europei, da Bruxelles e dagli imprenditori italiani e stranieri. La cancelliera tedesca Angela Merkel è pronta a collaborare «con il nuovo governo italiano». Sergio Marchionne ha aperto la porta senza entusiasmo al nuovo esecutivo: «È già un passo avanti». L’amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles, però, è stato caustico: «Noi siamo sempre stati filogovernativi, voi scegliete e noi ci adattiamo».

Nei giorni precedenti, invece, era scoppiato il panico. La crisi politica, aggravata dall’annuncio di Di Maio di voler chiedere la messa in stato di accusa di Mattarella (idea non condivisa da Salvini e poi rientrata con le relative scuse), aveva provocato il caos. In appena tre settimane a maggio il differenziale tra i buoni decennali del Tesoro italiani e quelli tedeschi era volato da 130 punti fino a 324, il livello più alto dal 2012, causando un salasso per pagare gli interessi più alti sui titoli del debito pubblico. Anche la Borsa era andata in picchiata.

Ora la paura è passata. Il governo populista dal taglio pragmatico è alla prova: la difficile scommessa delle forze anti establishment è di mantenere le seducenti ma difficili promesse fatte ai propri elettori nel voto del 4 marzo e di non impaurire di nuovo i mercati. È una prova cruciale per Di Maio e Salvini, i veri dominus del governo Conte: entrambi sono vice presidenti del Consiglio, il primo è ministro dello Sviluppo e del Lavoro e il secondo è titolare del dicastero dell’Interno. Ministro dell’Economia è il professor Giovanni Tria, un economista critico sulle regole per l’euro ma contrario a dare l’addio alla moneta comune. Ministro delle Politiche Europee è Savona, l’uomo sul quale punta Salvini, teorico di un Piano B per abbandonare l’euro. È un equilibrio fragile.


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