Quella “squadra speciale” nel bunker delle indagini

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di Ignazio Gibilaro

Nella tarda serata del 9 novembre 1983, il nuovo capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo fece il suo ingresso in quella che sarebbe stata la sua casa per i successivi quattro anni, la “Caserma Cangialosi” della Guardia di Finanza.
La scelta di alloggiare Antonino Caponnetto in un’austera foresteria militare era stata imposta dalla terribile eco dell’autobomba che pochi mesi prima aveva ucciso Rocco Chinnici, suo predecessore al vertice dell’Ufficio giudiziario palermitano.
Ebbene, il destino (o forse la Provvidenza) volle che proprio tra le sicure mura dell’ex convento accadesse un episodio determinante per il futuro sviluppo di quello che diverrà “il metodo Falcone”.
Infatti, nel dicembre di quell’anno, passeggiando nel chiostro dell’antico complesso domenicano, Caponnetto ed il colonnello Gaetano Nanula concordarono di dare concreta attuazione ad un’idea di Giovanni Falcone: distaccare presso i locali dell’appena costituito “pool antimafia” un piccolo nucleo di investigatori del Nucleo Regionale di Polizia Tributaria che fossero in grado di procedere all’esame dell’enorme quantità di documenti bancari sequestrati nell’ambito di tutte le principali inchieste su Cosa Nostra.
La richiesta di Falcone traeva origine dall’esperienza che il giudice aveva maturato allorchè, sul finire degli anni ’70, Rocco Chinnici gli aveva affidato l’istruttoria contro Rosario Spatola.
Lo stesso magistrato ha più volte ricordato che proprio durante tale inchiesta, mentre ricostruiva il traffico di eroina gestito dalle famiglie mafiose tra la Sicilia e gli Usa, si era convinto che nelle banche dovevano pur essere rimaste delle tracce contabili delle ingenti somme scambiate e così, per “seguire il denaro”, diede inizio alle prime indagini bancarie nei confronti dei clan.
Ma ben presto Falcone giunse all’ulteriore consapevolezza che gli esiti dell’incrocio dei flussi bancari con le risultanze delle tradizionali indagini di polizia e con le dichiarazioni dei “pentiti”, dovevano essere ulteriormente integrati con delle approfondite investigazioni sui reticoli patrimoniali e societari riconducibili ai criminali ed ai loro insospettabili prestanomi.
Da qui la consapevolezza che, per essere efficaci, le attività di acquisizione, analisi e rielaborazione di tali enormi masse di dati dovevano essere condotte in modo sistematico ed organico, avvalendosi di personale altamente qualificato.
Fu proprio in tale prospettiva che, nei primi giorni del gennaio 1984, i marescialli Angelo Crispino e Paolo Scimemi si insediarono a pochi metri dall’ufficio di Falcone, nello stanzone in cui era stata accatastata un’impressionante montagna di documenti contabili, verbali di interrogatori e rapporti di polizia.
Nel giro di poche settimane i due sottufficiali furono raggiunti da altri finanzieri, finendo con il costituire una vera e propria “squadra speciale” che, da quel momento in poi, lavorò fianco a fianco dei giudici istruttori dello storico pool sino al suo definitivo scioglimento.
Questi militari vennero inizialmente selezionati tra gli esperti della “Sezione Economia e Valuta” del Nucleo di Palermo ed operarono sotto la direzione di un vero segugio dell’antiriciclaggio, il capitano Carmine Petrosino.
Successivamente la responsabilità della squadra fu attribuita a me, giovane capitano che avevo già collaborato con diversi autorevoli magistrati di Torino, Milano e Palermo in una serie di indagini concernenti un imponente traffico di eroina proveniente dalla Turchia e destinata all’Europa ed agli USA.
Ebbene, proprio in concomitanza del cambio di comandante, la squadra del pool divenne parte integrante di quella “Sezione Indagini Economico-Fiscali Criminalità Organizzata” che è stata la prima unità specializzata creata dalla Guardia di Finanza per il contrasto alla criminalità mafiosa, nonché la storica progenitrice degli attuali G.I.C.O. e S.C.I.C.O..
In breve tempo il team investigativo assunse il ruolo di propulsore delle attività di polizia svolte sul campo dagli altri componenti della Sezione, trasformandosi anche in una sorta di cinghia di trasmissione tra i giudici istruttori palermitani e tutti i reparti del Corpo progressivamente lanciati sulle tracce del black money, in Italia ed all’estero.
Fu così realizzato un immane lavoro di ricostruzione della multiforme ragnatela di rapporti patrimoniali e societari che avviluppava coloro che venivano progressivamente individuati come “soldati” o “capi militari” dell’organizzazione mafiosa; i magistrati furono pertanto in grado di “cementare” con immodificabili prove documentali le ben più volubili dichiarazioni testimoniali, giungendo anche all’individuazione di nuove filiere di soggetti (talora del tutto insospettabili) legati agli “uomini d’onore” da non più negabili interessi affaristici.
Un mero dato numerico può forse esemplificare la straordinaria rilevanza delle indagini economico-finanziarie svolte: ben 4 dei 40 volumi dell’ordinanza di rinvio a giudizio del “I° Maxi processo” sono costituiti dagli esiti delle indagini bancarie e 19 degli ulteriori 22 volumi di allegati sono composti dalla relativa documentazione.
Concludendo questo personale ricordo della “squadra silenziosa” di giovani Fiamme Gialle che ho avuto il privilegio di comandare, mi permetto di riportare alcune frasi tratte da una lettera scritta da Giovanni Falcone il 6 novembre 1989:
“Nel lasciare il mio incarico di Giudice Istruttore sento di esprimere il mio più vivo apprezzamento per la preziosa collaborazione svolta in questi anni dai militari del Nucleo Regionale P.T. di Palermo distaccati presso questo Ufficio. Senza l’apporto della Guardia di Finanza non sarebbe stato possibile effettuare complesse e numerose indagini bancarie e patrimoniali che hanno contribuito a far ottenere notevoli risultati giudiziari. Tali indagini, svolte nell’ambito di importanti procedimenti contro la criminalità organizzata, hanno posto in evidenza l’elevata professionalità dei militari operanti e, tenuto conto della notevole pericolosità sociale dei soggetti nei confronti dei quali sono state effettuate, il loro alto senso del dovere e spirito di sacrificio”.

 

Da mafie


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