“Mai più fascismi. Mai più razzismi”. Sabato tutti alla Manifestazione nazionale di Roma

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Negli ultimi mesi, l’odio è passato dalle parole ai fatti. Così possiamo sintetizzare la stagione che l’Italia attraversa, una delle più difficili dall’entrata in vigore della Costituzione, che lo scorso 2 gennaio ha compiuto settant’anni. Si è partiti dagli insulti e dalle false notizie postati e moltiplicati sui social, contro i migranti in prima battuta, e poi contro gay, donne, disabili, giornalisti, e contro i politici che non si rassegnano agli umori dei populisti. E si è arrivati alle cronache delle ultime settimane, con veri e propri assalti ai centri di accoglienza, messi a fuoco o costretti comunque a chiudere, alle azioni di intimidazione contro quanti si oppongono, alle coltellate per le strade. Violenze che, come sempre, hanno un effetto di trascinamento e contagio, com’è avvenuto a Palermo contro un esponente di Forza Nuova: la violenza ha sempre un segno ed è quello della prevaricazione e non è mai giustificabile, chiunque la eserciti e chiunque sia a subirla.

E il contagio dell’odio e della consapevolezza che le violenze, verbali e e persino fisiche, non solo non vengono punite ma anzi riscuotono consenso, ha scoperchiato il vaso dell’insofferenza generalizzata verso quanti non stanno zitti e anzi, anche per dovere deontologico, denunciano. Minacce, insulti, spintoni, schiaffi e pugni, testate sul naso ai danni di croniste e cronisti, intimidazioni sotto la sede di giornali per impedire che venga raccontato cosa c’è dietro i gruppi di estrema destra che stanno crescendo in tutta Europa e in particolare in Italia, sono solo i sintomi più recenti dell’ondata razzista e neofascista amplificata dalla più brutta campagna elettorale dalla nascita della Repubblica e da un erroneo senso della par condicio tra chi subisce e si richiama ai principi della democrazia e chi usa violenza e, soprattutto, sbandiera parole e idee che sono fuori dalla legge e dalla storia.

E non aiuta minimizzare: il fascismo che avanza non è circoscritto ad alcune piccole formazioni di estrema destra, che nei sondaggi sono indicate come marginali. I principi della prevaricazione, dell’abuso, del bavaglio alle idee dell’altro, il rifiuto del diverso sono rivendicati da esponenti di primo piano della politica che dopo il 4 marzo potrebbero sedere in Parlamento sui banchi del governo.

Ancora una volta, guardare a cosa accade fuori dai confini aiuta a capire i pericoli per la nostra democrazia: la Turchia è oggi il più grande carcere a cielo aperto per tutte le forme di dissenso dal potere in carica. Un carcere a cielo aperto dove ogni singola parola di critica al presidente Erdogan è a rischio censura e persecuzione giudiziaria. E’ imprecisato il numero di giornalisti in prigione, e nei giorni scorsi sei di loro sono stati persino condannati all’ergastolo, e solo per i loro scritti e le loro idee.. Ma Erdogan non solo non si dichiara fascista ma è anche stato eletto “democraticamente”, sia pure con i media sotto assedio.

E vogliamo anche ricordare che sia i fascisti di Mussolini nel 1922 che i nazisti di Hitler nel ’33 erano partiti nettamente minoritari che in pochi mesi sono arrivati a governare e cambiare le regole del gioco.

L’antifascismo è nel nostro dna: per questo abbiamo aderito fin dal primo momento al manifesto “Mai più fascismi. Mai più razzismi”. E per questo, insieme ad Anpi, Acli, Arci e tante altre sigle, siamo tra i promotori della Manifestazione nazionale che si terrà a Roma sabato 24 febbraio e convochiamo il nostro direttivo e tutti i nostri iscritti a partecipare senza esitazioni. E chiamiamo i nostri circoli territoriali a intervenire ai presidi che sono convocati in tutte le regioni per fermare l’avanzare del fascismo e del razzismo nel nostro paese. Rilanciamo l’appello e chiediamo alle Istituzioni, tra le altre cose, di sciogliere le organizzazioni che si richiamano al fascismo e al nazismo. E’ dovere di tutti noi respingere ogni attacco ai principi della nostra Carta e, in particolare, alla libertà di espressione, garantita dall’Articolo 21.


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