Alberto Giacometti raccontato da Tucci in Final Portrait

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Genio e sregolatezza. E’ così che Stanley Tucci, al suo quinto lungometraggio, ci propone Alberto Giacometti. Non un biopic, ma un film sull’arte e sulla ciclicità del processo creativo. E’ il 1964, nella capitale francese Alberto Giacometti è considerato un artista di primo livello. Ad una mostra incontra James Lord, scrittore americano appassionato d’arte. Lord è prossimo al rientro in America, ma Giacometti gli propone di posare per lui, per un ritratto. Si tratterebbe solo di un giorno o due, lo rassicura l’artista. E’ così che inizia un “processo” senza fine in cui Giacometti “fà e disfa” senza sosta, pennella e copre per ricominciare l’indomani. Lord si ritrova così risucchiato nel vortice, quasi preso in ostaggio dall’artista svizzero che con il passare dei giorni gli chiede con disinvoltura altro tempo. Lord cambierà il volo di rientro ben cinque volte, restando alla mercè del genio per quasi 20 intensi giorni, al termine dei quali, e a ritratto incompiuto – ma l’incompiutezza era proprio l’essenza dell’arte per Giacometti – rientrerà a New York.

Ma quei 18 giorni servono a Lord per conoscere chi c’è dietro l’artista: un fumatore accanito, un uomo irrequieto dall’esistenza dissoluta ai limiti della decenza. Sposato con Annette (Sylvie Testud), ha una relazione da oltre tre anni con la prostituta Caroline (Clemence Poesy) per la quale è pronto a mettere in gioco ogni somma. Tra bevute, lunghe passeggiate tra i boulevard alberati di Parigi e le tombe di artisti e illustri personaggi del Père-Lachaise, tra Alberto Giacometti e James Lord nasce un’amicizia che si manterrà epistolarmente fino alla morte del primo, avvenuta all’inizio del ‘66. Tratta dall’autobiografia di James Lord “A Giacometti Portrait”, il film è un affresco forte e coinvolgente sui tormenti dell’artista, sulle sue ossessioni, sui suoi eccessi di rabbia, sul rapporto di potere che stabilisce con il suo modello.

Una pellicola interessante che varrebbe anche solo per la straordinaria interpretazione di Geoffrey Rush, affiancato da un comprimario, Armie Hammer – visto di recente in Call me by your name di Guadagnino – altrettanto bravo. Dall’8 febbraio in sala con Bim Distribuzione.


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