Come Cosa nostra ha fatto di Castelvetrano una “zona franca”

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La maxi evasione fiscale registratasi nel Comune di Castelvetrano non è da porre al di fuori della procedura che ha condotto l’anno scorso al commissariamento per inquinamento mafioso del Municipio belicino. La circostanza infatti fu inserita nella relazione dell’allora prefetto Giuseppe Priolo con la quale si chiese al Viminale di avviare le procedure di commissariamento. Pesantemente chiamata in causa l’amministrazione uscente guidata dal sindaco Felice Errante. Il sindaco che al suo insediamento ebbe l’infelice uscita di dire che la presenza sul territorio del boss Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993, non era il primo dei problemi. A volergli dare ragione, ma quell’affermazione resta indubbiamente da condannare moralmente, viene da dire che sul grave problema dell’evasione fiscale quella amministrazione ha chiuso non un occhio ma tutti e due. Scriveva il ministro Minniti , nel provvedimento di scioglimento per inquinamento mafioso, recependo la relazione del prefetto Priolo: “Sul piano economico gli accertamenti esperiti hanno evidenziato una situazione gravemente deficitario, che hanno formato oggetto di rilievi da parte della Corte dei Conti con riferimento agli anni 2013 e 2014 e per il 2015 da parte del commissario straordinario (dott. Messineo ndr) incaricato della gestione del Comune (funzioni di Consiglio comunale ndr). Viene segnalato che su tale situazione ha particolarmente inciso, nel corso della consiliatura eletta nel 2012, la progressiva riduzione della capacità di riscossione delle entrate comunali e la quasi totale assenza di iniziative volte al contrasto dei fenomeni di evasione tributaria”.

Il Comune di Castelvetrano ha visto scendere la capacità di riscossione dal 51,90 per cento del 2012, al 44,84 del 2015, la riscossione di entrate extratributarie dal 38,66 per cento del 2012 è arrivata al 20,21 del 2015. Ma c’è di più. Evasori sono risultati 63 dipendenti comunali, 15 consiglieri comunali e 6 assessori. Insomma il quadro è quello di una amministrazione che avrebbe vissuto appoggiandosi ad una politica che definire solo clientelare è insufficiente, la stessa amministrazione che un giorno si e l’altro pure si è contraddistinta per un attacco costante contro l’informazione, come se parlare della mafia castelvetranese era dipingere una realtà inesistente. E invece adesso con l’amministrazione straordinaria quello che viene fuori è un contesto pesantemente gravato da abusi e omissioni, fatti che non sono distanti dalla capacità di Cosa nostra di inquinare l’attività politico amministrativa. I giornalisti che hanno scritto in tal senso avevano dunque visto bene, ma venivano tacciati di essere dei fantasiosi. Il quadro appena consegnato dai commissari straordinari è pesante: tributi non pagati, mancata riscossione, concessioni edilizie e convenzioni a canoni risibili di cui hanno giovato anche i favoreggiatori del boss Matteo Messina Denaro. In tema di tasse, e non solo, la mafia dei Messina Denaro ha reso Castelvetrano una sorta di “zona franca”. 

Il buco fiscale è di 42 milioni di euro (35,5 milioni di entrate tributarie; 7,3 milioni di extra tributarie) e si riferisce alle imposte comunali su rifiuti, immobili, servizio idrico e imposte pubblicitarie non versate dal 2012 al 2017, durante l’amministrazione guidata dal sindaco Felice Errante. Cifre mai riscosse. «Nell’ultimo quinquennio il Comune – dice Salvatore Caccamo, presidente della Commissione straordinaria che amministra il Comune – ha avuto una mancata riscossione pari al 65%. Più della metà non pagavano. La lotta all’evasione, come emerge dagli accertamenti sulle caselle esattoriali, si è assestata all’1,50%. Questo significa che l’evasione era legalizzata». «Le ingiunzioni fiscali andavano in prescrizione dopo 5 anni e questo è avvenuto regolarmente. A volte tornavano indietro – continua Caccamo – perché il destinatario, era sconosciuto o incerto, oppure perché la postalizzazione non raggiungeva gli obbiettivi che doveva raggiungere. Anche la riscossione coattiva è stata deficitaria, sempre per gli stessi motivi». A dicembre 2017 stavano per scadere 1.400 cartelle esattoriali ma stavolta la Commissione le ha nuovamente notificate interrompendo così la prescrizione. I debitori più corposi sono tre aziende: Saiseb, che ha costruito l’impianto di depurazione (deve 1,7 milioni), Gemmo, che ha realizzato la rete dell’illuminazione pubblica (1,8 milioni) e Trapani Servizi, ente gestore della discarica (700.000 euro).

A pensare adesso al recupero sarà una società esterna, di Lucca. Scoperti i meccanismi di elusione con escamotage fiscali: dal cambio dell’assetto societario al trasferimento di gestione ad altri soci, passando per la cessione di rami d’azienda o i contratti di comodato gratuito attraverso i quali veniva trasferita la conduzione dell’attività ad altri familiari. Controllando le concessioni e le convenzioni, i commissari si sono imbattuti in vari casi singolari. In uno di questi il Comune paga una locazione alle Ferrovie dello Stato per un bene, che poi viene concesso a un soggetto privato a costo zero. In questo locale di recente la Squadra Mobile di Trapani è andata ad eseguire una delle recenti tantissime perquisizioni nell’ambito della ricerca al latitante Messina Denaro, ed hanno scoperto che i servizi elettrici non venivano nemmeno pagati, per un allaccio a carico della società ferroviaria. Nessuno si era mai accorto di nulla «Episodi come questo – continua Caccamo – creano un doppio danno erariale concreto».

Verificando le concessioni edilizie rilasciate negli anni e incrociando i dati dei beneficiari si arriva ai favoreggiatori del boss. «Molto spesso i permessi per costruire sono stati concessi come favore nei confronti di soggetti vicini alla criminalità. La periferia di Castelvetrano – sottolinea Caccamo – ha avuto un’espansione urbanistica impressionante. Molte lottizzazioni sono camuffate. Abbiamo riscontrato delle lottizzazioni abusive e stiamo provvedendo alla revoca di alcune concessioni, alcune perché scadute da tempo, altre perché non sono mai state rispettate». Una di queste è quella del “Triscina Mare”, un hotel residence turistico di Michel Giacalone, 70enne presunto favoreggiatore di Messina Denaro, anche lui tra i “perquisiti” delle scorse settimane e padre di Angela Giacalone, assessore al Turismo durante l’ultima consiliatura. La concessione era stata rilasciata in un’area di assoluta inedificabilità e imponeva la demolizione di 3 villette realizzate, mai eseguita. Giacalone – originario di Tunisi – nel 1996 venne arrestato e poi condannato per mafia, anche per aver ospitato i fratelli Giuseppe e Benedetto Graviano nelle camere del “Triscina Mare”. Adesso gli è stata revocata la concessione.  


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