Il caso Battisti. Un terrorista, un assassino possono definirsi “ex”?

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C’è in giro una certa aria di “perdonismo, distinguo, revisionismo” che tenta di giustificare gli atti terroristici degli anni “di piombo”, come se fossero stati una scelta di alcune frange di quelle giovani generazioni, certo sbagliata, ma pur sempre politica, contro uno stato tiranno. E’ una lettura “radical chic”, fuori dalla storia, perchè restano a testimonianza di quelle scelleratezze, oltre ai giudizi processuali, soprattutto le vittime, uccise o invalidate per sempre, e le famiglie, oramai dimenticate dai media e mal sopportate dalle istituzioni. Mentre i terroristi di un tempo, che non si sono mai “dissociati” nè hanno chiesto perdono, oggi vivono una “seconda giovinezza” fuori dalle carceri, partecipando a convegni, scrivendo libri, tenendo lezioni. Una visibilità mediatica che “confonde” spesso anche chi tra giornalisti ed intellettuali, quegli anni duri non li ha vissuti, perché non era neppure nato.

Una confusione lessicale e storica, insomma! Una sorta di “sequel” mediatico della recente diatriba su “vaccinazioni sì/vaccinazioni no”, che ha finito col dare anche una certa dignità alle più oscurantiste posizioni antiscientifiche dei “NoVax”.

Non si capisce, inoltre, perché alcuni giornali esprimano una sorta di accanimento giornalistico nel definire Berlusconi “il pregiudicato” e non più cavaliere, in quanto condannato in via definitiva e impedito per alcuni anni a ricoprire cariche elettive; oppure il defunto Bettino Craxi “contumace”, perché anche lui condannato in via definitiva, e non “esiliato” come invece la stampa di destra lo designava, in aperto contrasto con quelle stesse sentenze. Strabismo mediatico?

E comunque la vittima di un terrorista non viene ricordata come “ex-vittima di ex-terrorista” o, più prosaicamente un rapinatore, finito di scontare la pena, non diviene per questo “un ex-rapinatore”. Chi si presta a queste arguzie linguistiche, ha sicuramente dimenticato le nozioni basilari del diritto.

Il terrorismo è stato una “pagina scura” con relativa scia di sangue, che ha bloccato l’evoluzione democratica del nostro paese. Chi, da destra o da sinistra, ha scelto quel fronte, è giusto sia stato condannato. Le stragi, in gran parte sono state effettuate da elementi di estrema destra con la complicità di settori dei servizi segreti deviati, italiani e stranieri. Chi è stato terrorista ed ha ucciso quasi sempre persone democratiche, gente comune o impegnate socialmente, e non certamente esponenti “del padronato e del capitalismo oppressore”, da tempo è fuori dalle carceri italiane e tiene convegni, lezioni all’università o presentazioni di libri. Le famiglie delle vittime e degli invalidi sono invece rimaste silenziose nella loro “galera a vita”. Mischiare terrorismo con la guerra civile è dunque un’operazione culturale antistorica.

Battisti è stato un membro dei Proletari armati per il comunismo (ambiguo gruppuscolo terrorista scarsamente ideologizzato, dedito più che altro a espropri proletari e rapine o “gambizzazioni” di operatori carcerari), prima ancora rapinatore di banca, poi condanno per più omicidi passati in giudicato, quindi evaso da un carcere italiano per approdare in Francia, “terra di esiliati politici”, tutelato da una controversa legge del presidente socialista Mitterrand. L’elenco dei “solidaristi” è lungo e permeato di “gauchistes au caviar”, come s’usa dire in Francia. Tanti aderirono (intellettuali, artisti, scrittori, giornalisti, registi), ma pochi, a quanto sembra dalle successive defezioni avevano letto la sua biografia.

Come ricorda e denuncia in un suo blog Michele Anselmi, già critico cinematografico de L’Unità:

Io sono stato “un grigio compagno del Pci”, ho visto miei colleghi a l’Unità, come Sergio Criscuoli o Wladimiro Settimelli, costretti a girare armati perché finiti nel mirino delle Br. Altri ridotti con le gambe a pezzi, come Nino Ferrero. Sono sempre stato con lo Stato contro le Br. Qui sotto l’incredibile raccolta di firme “in sostegno e per la liberazione di Cesare Battisti contro questo scandalo giuridico e umano” (?) che fu lanciata nel 2004. Tra i primi firmatari c’era anche Marco Müller, apprezzato direttore di festival cinematografici (Rotterdam, Locarno, Venezia e Roma), che poi ritirò la propria firma, sostenendo di aver letto sbadatamente il testo e non aver capito bene. Tra le 1.500 firme si trovano quelle degli scrittori Valerio Evangelisti (responsabile del sito “Carmilla online” che lanciò l’appello), Daniel Pennac, Enzo Fileno Carabba, Christian Raimo, Pino Cacucci, Wu Ming, Tiziano Scarpa, del disegnatore satirico Vauro, dei registi Guido Chiesa e Davide Ferrario, degli ex deputati Paolo Cento e Giovanni Russo Spena, e tanti altri famosi e no. Loro avevano di sicuro capito bene…”.

Varie personalità del mondo della cultura e della politica francese vi aderirono, tra questi Bernard-Henri Lévy, che ha curato la prefazione del suo libro (“Ma Cavale”, “La mia fuga”), gli scrittori Tahar Ben Jelloun, il già citato Pennac, Fred Vargas, che in questi anni lo ha sostenuto economicamente anche in Brasile, autrice del libro “La Vérité sur Cesare Battisti”, e persino il Premio Nobel colombiano Gabriel García Márquez. Insieme a loro, 500 tra scrittori, intellettuali e rappresentanti di organizzazioni non governative per i diritti umani brasiliani, tra i quali alcuni esponenti di Amnesty International.

E’ la sindrome del “perdonismo” e del “revisionismo” che ha intaccato anche parte degli intellettuali “di sinistra”, o meglio radical-chic, italiani. Oltre ad Evangelisti (affermato scrittore di libri di fantascienza e suo amico personale), sottoscrissero tra gli altri: Nanni Balestrini, Gianfranco Manfredi, Mauro Bulgarelli, Sante Notarnicola, Sandrone Dazieri, Alex Cremonesi del gruppo La Crus, Sandro Provvisionato, Graziella Mascia, Marco Rovelli, Paola Staccioli, Pino Cacucci, Gianni Biondillo, Tiziano Scarpa, Massimo Carlotto. Tra i firmatari comparve anche Roberto Saviano: l’autore di “Gomorra”, però, nel gennaio 2009 ritirò la sua firma “in segno di rispetto per le vittime”.

L’ex-presidente brasiliano Lula, tra i suoi ultimi atti, sembra che concesse a Battisti la possibilità di non essere estradato, perchè dall’Italia giunsero pressioni “indecenti”. Forse Battisti si sentiva al sicuro in quanto “tenutario” di alcuni segreti di stato? Forse.

Sta di fatto che era tra i frequentatori dell’Istituto Hyperion a Parigi, un ambiguo centro cultural-politico, meta o rifugio, non si sa bene, anche di terroristi italiani latitanti. In realtà, secondo i magistrati antiterrorismo, si sarebbe trattato di un “centro di elaborazioni strategiche e di incontro” persino dei servizi segreti deviati per organizzare attentati, rapimenti ed altro. Un crocevia per la destabilizzazione con una estesa rete di collegamenti, addirittura nella Curia romana. Forse Battisti sa qualcosa che è meglio non venga alla luce del sole? Di troppe protezioni ha goduto finora. E dell’Hyperion ci è rimasto solo quanto riportato da Wikipedia: non molto, certo, ma piuttosto inquietante.


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