Caso Orlandi: o è vero il dossier, o è vera la Magliana. Oppure…

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Dossier caso Orlandi, atto secondo. Dall’analisi alle considerazioni. Mettendo in relazione quel documento con altri (ufficiali, ndg) relativi al “giallo” della giovane cittadina vaticana, si giunge subito a una conclusione: se è vero quanto scritto in quelle cinque pagine, non può esser vera la pista della Banda della Magliana. E viceversa. Ecco perché.

La tesi della Banda della Magliana artefice della sparizione di Emanuela Orlandi vuole la ragazza sequestrata su ordine di Enrico De Pedis (detto “Renatino”, uno dei capi del criminoso sodalizio) per ricattare lo IOR, la banca del Vaticano, colpevole di non aver restituito alla banda un ingente prestito di denaro nel quale era coinvolta anche la mafia. Aldilà delle incongruenze emerse in fase d’indagine – una per tutte, che Marcinkus, presidente dello IOR, sia stato anche il mandante del rapimento – secondo questa teoria il cadavere della ragazza sarebbe stato gettato in una betoniera, a Torvajanica, dallo stesso De Pedis. A raccontarlo ai magistrati, Sabrina Minardi (amante per un breve tempo di “Renatino”). Lei non fu in grado di definire il periodo dell’episodio, ma esso avrebbe comunque un limite temporale ben preciso: 2 febbraio 1990, giorno dell’uccisione di De Pedis.

Secondo il dossier, invece, Emanuela Orlandi sarebbe rimasta in vita almeno fino al 1997. Lo si desume dall’ultima pagina, riferita al periodo “Aprile 1993 – Luglio 1997”, dove si legge che sarebbero stati pagati venticinque milioni di lire per due suoi trasferimenti e un mantenimento più altri ventuno milioni per il trasferimento presso Stato Città del Vaticano più relativo disbrigo delle pratiche finali. Se questa ricostruzione fosse veritiera, il corpo dell’adolescente vaticana mai potrebbe essere stato eliminato nella betoniera di Torvajanica per mano di “Renatino”. Da qui non si scappa.

Ma più che le dichiarazioni di Sabrina Minardi – “del tutto inverosimili, oltre che contraddittorie nelle versioni succedutesi nel tempo” secondo la sentenza di archiviazione dell’inchiesta giudiziaria sulla scomparsa di Emanuela Orlandi – a mettere davanti al bivio sulla bontà del dossier o della Banda della Magliana, è l’intercettazione ambientale che il 28 aprile 2010 ebbe come protagonisti il pregiudicato Giuseppe De Tomasi e la moglie. Secondo quanto annotato dalla Squadra Mobile della Questura di Roma, mentre erano in casa a guardare il telegiornale che trasmetteva un servizio proprio su Sabrina Minardi, i due fecero un cenno anche all’episodio di Torvajanica. “…Lo riccontava Renato… mica… mica è ‘na barzelletta” disse l’uomo. La donna ipotizzò anche una presenza della Minardi – “[…] Ma no lei ha dichiarato… ce stava insieme quando è successo…e quando l’hanno buttata là dentro coi sacchi…ce stava pure lei” – ma l’uomo smentì: “C’era solo ‘Il Principe’ (Luciano Mancini, altro esponente della malavita capitolina) […] A Torvajanica so’ annati (lui e De Pedis, ndg) e l’hanno seppellita”. Parole che, se il contenuto del dossier avesse dei riscontri, sarebbero prive di fondamento e farebbero della Banda della Magliana un corpo quasi del tutto estraneo al caso Orlandi (rimarrebbe un possibile ruolo operativo nel sequestro. Sempre che sia stata lei…). Invece, se il dialogo fra De Tomasi e la moglie dovesse corrispondere a verità, fasulle sarebbero quelle cinque pagine contaminate da più di un’anomalia.

Proprio su di loro va posta l’attenzione. Perché la loro tecnica compositiva, elementi verosimili alternati con altri inverosimili, ricorda quella dei documenti depistanti apparsi sulla scena del caso tra l’83 e l’85. E se anche questo dovesse rivelarsi un falso costruito ad arte, direbbe molto di più di quanto non sembri. Intanto, che qualcuno, se non più d’uno, è a conoscenza di quanto successo a Emanuela Orlandi. Poi, che lo sta adoperando come strumento di pressione su qualcun altro. Non tanto su chi ha delle responsabilità dirette nella vicenda (dopo trentaquattro anni potrebbe anche essere deceduto) quanto più, visto che la ragazza era cittadina vaticana e che il documento chiama in causa il Vaticano, su coloro che, oggigiorno, sotto il Cupolone, sono chiamati a prendere delle decisioni. Chiaro il messaggio, al sapore nemmeno troppo velato di “avvertimento”: attenzione a come ci si muove, altrimenti su Emanuela Orlandi potrebbe uscire la verità. Che a quel punto, come si può intuire, non gioverebbe all’immagine della Chiesa.


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