L’estate in cui l’Europa sta distruggendo se stessa

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Se ancora ce ne fosse bisogno, il G20 svoltosi questo fine settimana ad Amburgo, fra scontri e violenze d’ogni sorta, ha messo vieppiù in evidenza la drammatica crisi in cui versa il Vecchio Continente. E non si tratta, come pensa qualche osservatore ottimista, di una crisi unicamente economica e, al massimo, sociale: si tratta di una crisi di valori, di orizzonti e di prospettive o, per meglio dire, della drammatica mancanza delle medesime.
La Cancelliera, in corsa per il suo quarto mandato e indebolita dal cattivo esito di un vertice dal quale, comunque, c’era poco da aspettarsi, rimane, nonostante tutto, una delle poche certezze in quest’Europa senza punti di riferimento e, soprattutto, senza una classe dirigente all’altezza. Fatto sta che per la Germania, locomotiva europea e simbolo di efficienza pressoché in tutti i settori, il fatto di aver perso il confronto virtuale con l’Italia, dove a maggio, al G7 di Taormina, non si era verificato alcuno scontro, anche e soprattutto grazie alle rigide misure di sicurezza adottate, è stato un duro colpo.
Senza contare l’impossibilità, almeno a fine settembre, di dar vita al rilancio di quell’asse franco-tedesco che ha sempre innervato il Vecchio Continente ma che negli ultimi anni si era leggermente appannato. A dispetto dei precedenti storici, infatti, la collaborazione fra la Merkel e Hollande non è mai stata particolarmente proficua: Merkollande non è mai decollato, nulla a che vedere con il Merkozy che aveva irriso e condannato alle dimissioni Berlusconi e meno che mai con il solidissimo rapporto di stima e collaborazione reciproca che unì il padre politico della Merkel, ossia Helmut Kohl, e il socialista Mitterrand. Merkelon, al contrario, sembra destinato ad avere miglior fortuna, se non altro per la chimica personale che si è stabilita fra i due protagonisti e, più che mai, per la comune necessità di fare fronte al protezionismo, alle chiusure e all’unilateralismo di Trump nonché alla sua preferenza, dichiarata e tangibile, per autocrati e dittatori anziché per gli storici partner europei.

Peccato che sia sul clima sia sui migranti sia sul libero commercio, al cospetto di una Cina vogliosa di espandersi attraverso i dogmi del liberismo sfrenato che ha devastato l’Occidente e che ormai non possiamo più permetterci, di una Russia desiderosa di riscoprire le antiche ambizioni di potenza, di un’America che mena vanto di essere, di fatto, sola contro tutti, specie per quanto concerne l’abbandono degli accordi stipulati da Obama alla Conferenza di Parigi, e delle difficoltà cui stanno andando incontro le economie emergenti, un po’ per la loro atavica instabilità politica, un po’ per la complessità di un nuovo contesto globale nel quale fanno fatica a raccapezzarsi, peccato che in un quadro tanto delicato ed incerto il vertice di Amburgo si sia concluso con un sostanziale nulla di fatto.
La verità è che l’unico interesse di Trump è quello di curare gli interessi delle frange più retrive e reazionarie dell’America profonda, sfruttando a tal fine alcuni rapporti internazionali eticamente discutibili ma politicamente fruttuosi, che il reale interesse di Putin è quello di far rinascere la Grande Madre Russia, della Cina abbiamo già detto e che in questo scenario l’Europa interpreta il ruolo del vaso di coccio fra i vasi di ferro, prigioniera della propria indeterminatezza e delle proprie divisioni interne che la crisi legata ai migranti non fa altro che acuire.
Come ha spiegato nei giorni scorsi papa Francesco, o il Vecchio Continente sarà in grado di darsi un assetto federale e una guida politica forte, autorevole e competitiva o nell’arco di pochi anni sarà destinata all’irrilevanza.
Per noi italiani il dramma è duplice, in quanto se ciò che auspichiamo dovesse accadere, di sicuro accadrà per mano franco-tedesca, con l’attuale governatore della Bundesbank, Weidmann, al posto di Draghi alla guida della BCE e l’attuale commissario agli Affari economici, Moscovici, alla guida del Ministero delle Finanze europeo, dando vita a quell’Europa a che velocità tanto utile quanto, probabilmente, escludente nei confronti di un Paese con un debito pubblico esplosivo e dei fondamentali economici del tutto inadeguati a far parte del primo cerchio.
Se a ciò aggiungiamo il cinismo dei partner internazionali sull’annoso tema dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti e la scarsa, per non dire nulla, credibilità dell’Italia in materia, appare evidente come i prossimi tre-quattro anni saranno decisivi per il nostro futuro. Con il serio rischio che, con la classe dirigente che ci ritroviamo, un futuro per noi non ci sia.


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