Ennesimo sfregio alla memoria di Falcone

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L’ennesimo sfregio alla memoria di Giovanni Falcone, a nove giorni dal venticinquesimo dalla strage di via d’Amelio, in cui perse la vita l’amico di sempre, Paolo Borsellino. Si potrebbe riassumere così quanto accaduto, ancora una volta, nel quartiere Zen di Palermo. Storia già vista di sfregi ad un monumento già imbrattato e lesionato più di una volta.

Se fosse il gesto compiuto da un mafioso, sarebbe realmente un segnale di grande debolezza, ciò che preoccupa di più, invece, è la cultura mafiosa che c’è la miserevole azione. Lo Zen, per chi conosce Palermo, è un quartiere difficile e particolare e la scuola è uno dei pochi presidi di legalità. Da tempo quella scuola è in prima linea per combattere fenomeni mafiosi ed insegnare ai giovani il “fresco profumo della legalità”, spiegare quelle idee che devono continuare a camminare sulle gambe dei cittadini onesti, ognuno nel proprio quotidiano. E’ per tale ragione che l’attenzione istituzionale, la sorveglianza delle forze dell’Ordine deve essere massima. Perché l’immagine è davvero, ancora una volta, terribile. Come non comprendere lo sfogo che Maria Falcone ha fatto all’Agi quando ha affermato che per “assicurare l’incolumità del monumento, andrebbe messa la statua di Matteo Messina Denaro”.

Una provocazione drammatica ma reale, in una Palermo ancora una volta posta davanti ad un simbolo da difendere. Scegliere l’indifferenza sarebbe una prova devastante per la lotta alle mafie e, soprattutto, a quell’atteggiamento mafioso che tarda ad essere sconfitto. Che sia la mano di un professionista o quella di un imbecille, poco cambia: è la reazione, non solo istituzionale, che farà la differenza. Ripartire dalle scuole e dall’indignazione sociale, per recuperare quel sentimento autentico di antimafia che da Palermo si propagò in tutto il Paese all’indomani delle stragi.

Perché non basta più urlare che “la mafia fa schifo”, bisogna ripudiarla negli atteggiamenti quotidiani, denunciare, fare i nomi di quella “montagna di merda” di cui parlava Peppino Impastato.


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