Qiu Xiaolong – Il poliziotto di Shanghai

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In fatale coincidenza con l’inizio dell’estate esce in libreria il nuovo romanzo di Qiu Xiaolong, “Il poliziotto di Shanghai”. In cui l’autore ci porta indietro negli anni, all’inizio della carriera dell’Ispettore Capo Chen Cao, quando era ancora un giovane laureato in letteratura inglese e la direzione del partito l’aveva assegnato, senza un perché, ai ranghi della polizia. Prendere o lasciare: rifiutare il posto in quegli anni ancora fortemente riverberati dalla Rivoluzione Culturale, significava andare contro la volontà dello stato, restare marchiato a vita e disoccupato per anni.

Sebbene con l’avvento alla presidenza di Den Xiaoping il regime sia ormai cambiato, Cao si porta dietro la grave colpa di un padre professore universitario, considerato dalle Guardie Rosse un mostro nero e sottoposto a una dura rieducazione proletaria, in conseguenza della quale perderà la vita. Con tali precedenti il giovane è tagliato fuori dalla carriera diplomatica a cui avrebbe aspirato, e viene assegnato al dipartimento di polizia di Shanghai con i compito marginale di tradurre in cinese il codice di procedura penale degli Stati Uniti. Cao  trascorre la giornata in uno stanzone  a svolgere senza fretta la sua mansione, e nel frattempo si lascia anche assorbire dalla lettura del romanzo di Milan Kundera L’insostenibile leggerezza dell’essere in cui intravvede affinità ed emozionanti consonanze con la propria esistenza. Chen ha studiato all’università grazie ai sacrifici della madre, insieme alla quale abita in un minuscolo appartamento dello shikumen di Vicolo della Polvere Rossa, e per laurearsi con una tesi su The waste Land (La terra desolata) del suo poeta prediletto T.S. Eliot, deve recarsi per un periodo alla biblioteca pubblica di Pechino. Qui entra in confidenza – e in una forma di pudico invaghimento – con la giovane bibliotecaria Ling dalla quale rimane affascinato: “Puoi fare una pausa nel mio ufficio”, gli propone lei amichevolmente. E una volta soli “scalcia via i sandali, si infila le cuffiette e ascolta musica da un minuscolo walkman appoggiato in grembo”. Ha un’aria rilassata, si comporta come fosse a casa propria e Cao prova un “violento senso di meraviglia nel vedere i suoi piedi nudi che battono il ritmo di un bolero sul pavimento antico”. Ling lo guida anche a consultare la sezione dei libri rari, aperta solo agli “illustri visitatori” e lo facilita in vario modo, conducendolo persino con sé a pranzo nella mensa aziendale: “Noi abbiamo il permesso di portare i parenti o gli amici che vengono a trovarci”. Lui la segue lungo il corridoio serpeggiante fino in fondo a un cortile: “Dirimpetto c’è un melo che sta sbocciando come un sogno trasparente”.  La fanciulla si muove con grande disinvoltura, ordina per lui una porzione di ombrina fritta, mentre lei prende costine di maiale alla shanghaiese. “Il pesce ha un sapore ancora più delizioso di quanto ricordasse, svuota la scodella nel giro di tre o quattro minuti”, provando imbarazzo quando lei gli fa assaggiare le costine agrodolci: “Non posso mangiare troppa carne”,  dice come giustificazione. Poi si alza per andare a “prendere una scodella di zuppa di uova filanti al pomodoro”. Ling “ha un fisico atletico, con gambe lunghe e tornite” e accetta persino un appuntamento per una passeggiata nel parco: “Ieri notte ho sognato che siamo diventati gargolle che ciangottano nel palazzo imperiale Yasng Xing, nella Città Proibita”, confida a voce bassa, “per tutta la notte abbiamo mormorato parole comprensibili soltanto a noi”. Ma alla fine dell’idillio si rivela come la figlia di un altissimo funzionario di partito, attesa dall’autista per essere ricondotta a casa con l’auto ministeriale: “C’è qualcosa che devo dirti. Avrò l’opportunità di andare in Australia per un anno, grazie a un programma di scambi tra la Biblioteca di Pechino e quella di Camberra”. Sparirà per sempre. “Come dice il proverbio per fare una storia servono coincidenze”.

E’ stato il segretario del Partito Li, dirigente politico del dipartimento di polizia, a decidere di affidare a Chen la traduzione del manuale di procedura penale americano: “Con la grande riforma del compagno Deng Xiaoping, è necessario che la Cina si apra al mondo”.

Il ragazzo si ritrova davanti a un tavolino traballante in una stanza di lettura dove i visitatori sono alquanto scarsi. Alle 12.30 smette di lavorare e nella pausa mensa incontra il dottor Xia, un illustre chirurgo riciclato alla scientifica per le autopsie, il quale nutre per lui una istintiva simpatia. Essendo un raffinato gastronomo gli riferisce una curiosità che l’ha colpito: “Questa mattina è arrivato un cadavere dalla omicidi. Quando l’ho aperto nello stomaco ho trovato una varietà di cucine che mi ha parecchio sorpreso”. E nomina cibi particolarmente prelibati, uova di pesce e filamenti di pinne di pescecane, da escludere che possano provenire da un unico ristorante. Nella mente di Cao scatta una molla, un improvviso interesse fino a quel momento inesistente. Essendo  anche lui un buongustaio appassionato alla cucina antica di nobile tradizione, si rivolge al suo amico Lu, detto “il cinese d’oltremare”, particolarmente esperto del settore: “E’ una cosa parecchio alla moda, ultimamente, si chiama cucina fusion”. E mentre gli prepara una zuppa sopraffina di pesce mandarino comprato ancora vivo al mercato, lo mette al corrente di locali privati in cui pochissimi eletti possono assaporare cibi di alta cucina: “Nell’antichità i banchetti più prelibati non venivano preparati nei locali, ma nelle cucine private, specialmente da concubine e cortigiane. Come recita il detto popolare «La miglior strada per il cuore di un uomo passa per il suo stomaco». Uno di questi ristoranti “oscenamente costosi, conosciuto soltanto a un ristretto circolo di persone”, si trova non lontano dalla stazione, dove è stato ritrovato infatti il corpo dell’uomo al quale la polizia non riesce a dare un nome, e di cui dopo giorni nessuno ha denunciato la scomparsa.

Forte del suo tesserino di scrittore, Cao si reca a parlare in veste di giornalista con il proprietario e cuoco del locale, Tang, grazie al quale riesce a risalire all’identità del cliente, un signore anziano che abita con una domestica nel Vicolo della Polvere Rossa ed è entrato di recente in possesso di una considerevole fortuna. Quasi senza accorgersi il letterato si è trasformato nel poliziotto che dovrebbe essere, non più soltanto nominale, e sta compiendo un’indagine. Con le informazioni raccolte, va a trovare in ufficio il suo superiore, ispettore Ding, per rivelargli quanto ha scoperto: un colpo da maestro che abbatte ogni diffidenza del severo funzionario nei suoi confronti. La sezione sarà finalmente in grado di avviare una inchiesta fondata sul caso ancora insoluto che preoccupa le alte sfere politiche, timorose di ricadute negative  sugli investimenti stranieri nella città di Shanghai.

Perché il vecchio signore è stato ammazzato a tarda notte con un colpo contundente sulla testa? E chi può essere stato il responsabile? Parallelamente alle ricerche del dipartimento di polizia, Chen Cao non rinuncia alla sua indagine personale, recandosi la sera a piedi a Vicolo della Polvere Rossa, come seguendo una suggestione della sua infanzia. “Le «conversazioni serali», come venivano chiamate, si svolgono all’imbocco del vicolo, dove si riuniscono all’aperto gli abitanti del quartiere per narrarsi storie, scambiarsi pettegolezzi o raccontare barzellette”. Durante gli incontri emergono fatti sempre sorprendenti; e si incontrano personaggi ben noti nei precedenti romanzi di Qiu Xiaolong, primo fra tutti Vecchia Radice, la memoria vivente del quartiere, l’aedo di ogni retroscena. Questa volta la vicenda, dolce e malinconica, ci permette di assistere alla nascita professionale di Chen Cao con una delicatezza e uno profondità, anche psicologica, da lasciarci ammirati e commossi. Come capita a tutti noi di fronte a qualsiasi nascita, reale o metaforica, che sempre ci riguarda da vicino; e assistiamo al dipanamento delle coincidenze, tutte causali eppure tutte combinate in un unico disegno che conduce a quell’esito miracoloso. Es muss sein , “deve essere” scrive Kundera nel suo romanzo. Si prova l’emozione che accompagna ogni cambiamento di pelle, ogni sovvertimento inaspettato, ogni rinuncia e ogni progresso; la trama che ineluttabilmente riconduce l’individuo a una nuova, arcana identità. “Lassù in cielo ci dev’essere qualcosa che è al di là delle nostra comprensione”.

E’ assai facile riconoscersi in Cao, figlio premuroso di una madre vedova e sola, alla quale il giovane tornando a tarda notte porta in dono una porzione di costosissimi bocconcini comprati nel ristorante esclusivo: “Specialità della casa, fatti con la carpa viva. Un grosso wok e un bel fuoco,  poi si lasciano marinare per ore nella salsa di soia speciale, con zucchero e altre spezie”. O stabilire una immediata empatia quando Cao si innamora della bibliotecaria avvenente, e irraggiungibile sebbene invaghita di lui. O quando il letterato suo malgrado – a sua insaputa? – diventa poliziotto e presto si imporrà sulla scena quale migliore investigatore di Shanghai, chiamato a risolvere i casi aggrovigliati e apparentemente senza uscita, in grado di mettere in imbarazzo il potere politico coinvolto non di rado in losche trame di corruzione e malavita.

Così lontani, e così sorprendentemente vicini!


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