Dopo Manchester, spalanchiamo gli occhi sulla realtà

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Manchester è uno dei luoghi simbolo della rivoluzione industriale, iniziata in Inghilterra tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800. Lo testimoniano l’architettura cittadina e il fascino dei suoi manufatti di archeologia industriale, mirabilmente riconvertiti, ma ancora impregnati delle fatiche della manodopera infantile, di donne e uomini che con il loro sfruttamento e la durezza del lavoro operaio hanno prefigurato la modernità e lo sviluppo della tecnologia. Oggi, le vecchie fabbriche e i magazzini in disuso, riportati a nuova vita come musei, biblioteche e centri aggregativi, sono perfettamente integrati con gli antichi monumenti neogotici e vittoriani, creando un tessuto urbano di grande bellezza e armonia.

A Manchester spicca il rosso dei mattoncini che incorniciano i frontoni dei palazzi d’epoca. Adesso è anche il rosso del sangue innocente di bambini e adolescenti festosi, dei loro genitori e accompagnatori, a focalizzare il nostro sguardo.

Dopo questa ennesima strage, a nessuno è più concesso di bendarsi gli occhi con la cattiva coscienza, scansare la consapevolezza che siamo al centro di una guerra atipica di religione e di civiltà, dichiarata a gran voce e non del tutto recepita.

I politici di mestiere si arrampicano su scale pericolanti, gonfi dei loro “bla, bla, bla” assordanti e infiniti; le “anime belle” si asciugano gli occhi di lacrime da coccodrillo, demagogicamente e anche un po’ cinicamente, assimilando fra di loro le morti tragiche sparse per il mondo, assommandole in un unico, indistinto calderone. Ma non è più il tempo del pianto per cercare di comprendere la realtà che ci circonda e disorienta; ora è il momento del pensiero lucido, se non vogliamo perderci in fatalismi e in colpevole rassegnazione, in attesa di una prossima strage.

E’ diffusa la pratica di svuotare di significato politico la strategia omicida, integralista e totalitaria e di riempirla di teorie psicologiche; di considerare l’islamizzazione della società alla stregua di “una catastrofe naturale, così il crimine diventa una maledizione, un richiamo alle ombre incomprensibili della condizione umana”, spiega il sociologo e scrittore franco-canadese Mathieu Bock-Coté, autore de “Il multiculturalismo come religione politica”.

“La pace perpetua alla quale aspiriamo dagli ultimi decenni del XX° secolo si è rotta una volta per sempre”. Secondo un’analisi prevalente sui media, “il terrorista sarebbe uno squilibrato, un pazzo furioso, un maniaco, uno psicopatico, ma non un islamista. Ci sarebbe l’islamofobia, insomma, all’origine del fondamentalismo. Il sistema mediatico vorrebbe preservare a qualsiasi costo il fantasma della diversità felice”. In realtà, come dimostra una ricerca del 2016 della Banca Mondiale, la gran parte dei quadri del Daesh viene da studi universitari.

Inoltre, la proporzione dei candidati al suicidio aumenta con l’educazione. Non dimentichiamoci che la forza generatrice della jihad è metafisica: la paura della società aperta e della libertà, generatrice del dubbio e dell’incertezza. L’Europa è diventata come un grande Israele, senza però la risolutezza di far fronte al pericolo”.

Sembra di vivere una realtà parallela, una sorta di limbo giustificazionista, di condivisione dei sentimenti vittimistici, ai quali dovremmo offrire comprensione, flagellandoci in nome di una presunta difesa dei Diritti dell’Uomo. “Un universalismo radicale al quale dovremmo invece con coraggio opporre un Riarmamento morale, per tornare così alla realtà”.

Lasciamo ai “professionisti del senso di colpa” il dejà-vu delle imprese coloniali; meglio approfondire questi temi sui libri di storia e darne una valutazione critica e analitica, piuttosto che farne un chiacchiericcio da bar. L’Occidente ha le sue colpe e i primi a pagarle siamo noi europei con le nostre utopie infrante, i nostri sogni restati nel cassetto, le preoccupazioni per la vita che ogni giorno affrontiamo fra mille difficoltà e il futuro incerto dei nostri figli. Ma la nostra tanto sbeffeggiata società è il frutto di costruzioni democratiche secolari, di principi illuministici e laici, che almeno sulla carta hanno sancito uguaglianza, fratellanza e libertà per tutti.

A questa idea di società si oppone una strategia pianificata di morte e distruzione per noi “Infedeli”, uomini e donne impudiche; una punizione esemplare per chi vorrebbe godere la vita anche grazie alle piccole abitudini quotidiane: una sosta al bar, una condivisione di gioia ad un concerto, un transito in aeroporto, una lettura di giornale messo all’indice, una festa di piazza, un mercatino natalizio.

In nome di un Dio crudele e vendicativo vorrebbero colonizzare le nostre teste, tappare le nostre voci, avvolgere di veli i nostri pensieri che vorremmo far volare in alto. Si sono già tutti dimenticati quel che successe la notte di Capodanno 2016 a Colonia? Vergognosi, devastanti atti di violenze e umiliazioni ad opera un migliaio di rifugiati islamici, accolti in massa dalla Germania, contro donne libere che festeggiavano” all’occidentale” l’anno nuovo. Ogni volta che il Danno si compie, l’approssimazione ideologica, la leggerezza con cui viene affrontato, così come la sensazione di sottomissione culturale, non ci fanno sentire tranquilli nei nostri confini.

Spesso si dice che sono le donne e il loro diritto alla parità con l’altro sesso la misura delle cose e del progresso civile, e allora pensiamo che i modelli culturali femminili dell’Islam mostrano discrepanze inquietanti con i nostri. Quello che per noi è un processo di conquiste non ancora giunto al termine, è per loro corruzione, disfacimento, impudicizia, allontanamento dal Bene, quello dell’ortodossia coranica da imprimere come un marchio a fuoco sulla nostra pelle.

L’Io del terrorista è fatto di esplosivo e piombo, il nostro Io è invece critico e autocritico, incerto, empatico con gli altri, imperfetto in quanto vero. Vogliamo vivere le nostre vite sulla terra, non morire per mano di un fanatico che si fa esplodere per raggiungere il Paradiso promesso, tanto più lussureggiante in quanto più devastante per noi.

“Il problema è l’Islam stesso, paralizzato da una sclerosi dottrinale, incapace di portare a termine una rinascita iniziata nell’Ottocento”, sostiene il filosofo e scrittore francese Pascal Bruckner. “Non sono dei dannati della terra le migliaia di estremisti che seminano il terrore. L’emarginazione è una semplificazione. Spesso sono esseri che rifiutano l’integrazione, ben protetti da un contesto familiare e da un substrato di appartenenze religiose ed etniche, stabilitisi da alcune generazioni nelle città europee. Quasi mai sono degli emarginati questi portatori di morte, come ci raccontano le loro biografie ricostruite. Il terrorista è un fanatico impulsivo, un bigotto impaziente. Terrorismo e integralismo sono fratelli gemelli che agiscono con mezzi differenti”.

Boualem Sansal è il più grande scrittore algerino contemporaneo, intellettuale e oppositore politico perseguitato e censurato nel suo paese, un’anima libera e illuminata. Il suo ultimo libro, “2084.La fine del mondo”, è diventato ben presto un bestseller in Francia. La sua analisi del fenomeno è senza sconti: “L’Islamismo vince ogni volta, sia se accumula vittorie oppure sconfitte, e si impone sulle nostre incertezze, incompetenze, ignoranze. Oggi piangiamo per Manchester, domani faremo concessioni ai predicatori mascherati che ci avranno fatto le condoglianze”. Abbiamo fatto l’abitudine a consolarci a vicenda, a fidarci delle apparenze, a rifugiarci nelle pieghe delle nostre fragilità, a mentirci.

“L’islamismo jihadista ha la sua vocazione nella punizione: il fine ultimo non è la conquista, ma la distruzione di una civiltà odiata e il radicamento dell’Islam sunnita in Europa”. L’islamofobia per Sansal non è altro che un reazione istintiva di paura verso l’Islam retrogrado e intollerante. Non cresce solo in Europa, ma anche nei paesi musulmani, che subiscono il terrore, le esplosioni delle bombe e le raffiche di kalashnikov quasi ogni giorno. Non si riesce più a tenere il conto delle vittime. La cronaca ci aggiorna di continuo. E’ delittuoso farci l’abitudine.

Comprendere tutto ciò sarebbe già un passo avanti per la costruzione reciproca di codici etici e democratici, per garantire pacificazione, civile convivenza, fino alla sconfitta militare e culturale del settarismo. Sul ruolo catartico del “multiculturalismo”, sventolato come una vangelo, Sansal è lapidario: “si tratta di una panacea, capace di curare tutto. I fondamentalisti lo vivono come un insulto: nulla può inquinare la loro visione dell’Islam”.

La sua applicazione dogmatica ha poi prodotto nelle periferie delle capitali europee un’assurda contraddizione: “nei grigi quartieri a predominanza islamica, lontani dai centri storici domina la sharia, non esistono più cristiani coraggiosi, ebrei, omosessuali dichiarati, donne in pantaloni e minigonne”. La religione musulmana integralista illumina come un sole abbagliante e potente i giovani, i quali secondo lo scrittore algerino diventano “permeabili alla predicazione del martirio per giusta causa. Il paradiso poi è una compensazione eccitante, il passaggio da un Islam naif e jihadista al crimine di massa diventa così un tragico automatismo”.

Ma esiste qualche strumento, una strada da praticare per arginare il terrorismo fondamentalista, affinché non si perpetuino attentati nelle città della nostra Europa, nei luoghi della nostra esistenza? Secondo l’europarlamentare Gilles Pargneaux, presidente del Gruppo di Amicizia tra l’UE e il Marocco, purtroppo quando “l’ISIS perde terreno sconfitto dalla Coalizione internazionale, la sua azione all’estero resta la stessa, anzi si intensifica. Si potrebbe pensare al canto del cigno, ma in realtà il terrorismo continua a prosperare sul terreno culturale con un rapporto più stretto all’interno dello stesso mondo musulmano, dove i riformisti fanno fatica a contrastare i radicali”.

L’idea del parlamentare europeo è quindi di intensificare la lotta culturale, allargandola su Internet, poiché “il processo di radicalizzazione passa quasi sistematicamente sul WEB. In definitiva la sola risposta militare è destinata a fallire. Le azioni unilaterali non funzionano più. Soltanto con la concertazione di strumenti culturali e tecnologici, con la costruzione di uno speciale Gruppo comune internazionale di lotta contro il flusso di comunicazioni su rete, noi potremo alla fine dare una risposta credibile a questo terrorismo infame”


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