Ian McEwan: nel guscio

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“Con pollici esperti Claude aggancia le mutandine di mia madre e gliele sfila. Giusto il cigolio accelerato del letto, fino a quando mia madre raggiunge la postazione sul Muro della Morte e comincia a strillare, geme più forte e infine, dopo l’ultimo grido-con-fremito in crescendo e in diminuendo, sento, improvviso e strozzato, il grugnito di lui. Atto unico, tre minuti al massimo, niente repliche”. Così annota l’acuto, ironico e spietato testimone. Il quale si è già presentato in maniera del tutto eterodossa al lettore: “Non sono in tanti a sapere che cosa significhi ritrovarsi il pene del rivale del proprio padre a pochi centimetri dal naso”.

E’ lui infatti, il bambino che Trudy porta in seno al terzo trimestre di gestazione, e dunque prossimo a essere espulso a nuova vita, che ci mette al corrente dei peccaminosi orgasmi materni con il fratello minore del padre. Dal suo osservatorio privilegiato il nascituro ascolta tutto o quasi ciò che viene detto al di là del suo protettivo sacco amniotico, in cui lo spazio vitale si assottiglia ogni giorno di più. Dai discorsi, o meglio dai sussurri degli amanti in trasporto amoroso, il piccolo ha appreso che la vita di suo padre John Cairncross è a rischio, perché la moglie e il traditore stanno  tramando di farlo fuori ed ereditare la casa di famiglia di sua proprietà; se non il castello di Elsinore pur sempre un pregiato edificio georgiano “sull’immodesta Hamilton Terrace”, nel cuore di Londra, cinquecento metri quadrati in grado di fruttare almeno sette milioni di sterline. Claude che è un avido agente immobiliare, sa bene come coronare il loro amore svergognato con sogni proibiti di ricchezza e libertà. Un’autentica mascalzonata. Non a caso “quanto hanno in mente li atterrisce e spaventa e non riescono a parlarne esplicitamente; solo bisbigliati sussurri. A letto, al ristorante, in cucina, quasi entrambi sospettassero che l’utero abbia orecchie”.

Ma come impedire il truce delitto quando non si ha alcuna facoltà di movimento e di espressione, e soprattutto si nutre un amore assoluto, ‘vitale’ per la propria madre che neppure il disprezzo riesce ad attenuare? “Che chance posso avere io, dunque, esserino capovolto muto e cieco, un quasi-figlio, che abita ancora a casa, attaccato da lacci di sangue venoso e arterioso alle gonnelle della mamma aspirante assassina?”

Questa è la trama a suspense, decisamente spiazzante, dell’ultimo romanzo di Ian McEwan “Nel guscio” (Einaudi, 173 pagg. , 18 euro), che porta in esergo una inevitabile quanto illuminante citazione di  Shakespeare, Amleto: “Oddio, potrei anche essere confinato in un guscio di noce e sentirmi il re di uno spazio infinito – se non fosse la compagnia di brutti sogni”.

Trudy è una attraente ragazza di ventotto anni, incantevole agli occhi del marito John, “un uomo grande e grosso, l’altra metà del mio genoma”; il gigante buono, poeta spiantato e sognatore che “conosce a memoria un migliaio di liriche”, e “dirige una casa editrice in miseria”. E’ innamorato “follemente” della moglie, fino all’adorazione e all’umiliazione: “Lui spera di vincere con la dolcezza e una premurosa sensibilità ai suoi bisogni. Sarei felice di sbagliarmi, ma credo che fallirà due volte, perché lei continuerà a disprezzarlo per la debolezza mostrata, e lui a soffrire ancora più del dovuto”.  La sua visione estatica di Trudy si illumina nei versi che le dedica: “I capelli  «biondo grano» si inanellano in «riccioli lucenti» fino alle «spalle bianche come la polpa delle mele»”. Il figlio in arrivo non può che subire il fascino di una madre tanto adorabile per quanto, al contrario, gli risulta detestabile Claude che, pur avendo fatto qualche soldo con la compravendita delle case, è rozzo, volgare, un cretino integrale. La stessa Trudy l’ha definito una volta “uno zotico duro di mente”. Purtroppo ne è terribilmente attratta sul piano sessuale e quando lui appena la sfiora non resiste, gli cede anche nei momenti più impensati, disarmata. Se lui le preme il sesso contro il pube “lei trova la cerniera, la abbassa, lo accarezza mentre l’indice di lui si insinua sotto i pantaloncini di mia madre, si avvolge intorno al modesto prepuzio clitorideo, e io sento la pressione alterna del dito nei pressi della fronte”.  L’inspiegabile bisogno che la giovane donna nutre per Claude sfugge a ogni sua plausibile comprensione: “Non è nemmeno un pittoresco avventuriero, manco l’ombra del mascalzone sorridente”; al contrario: “la sua nudità è notevole quanto potrebbe esserlo  l’abito di un ragioniere”. Il piccino ne è sconcertato e non può fare a meno, qualche volta, di provare un vivo risentimento nei confronti della madre: “Mi rifiuto di affermare che la odio. Ma abbandonare un poeta, qualsiasi poeta, per Claude!” Il guaio è che parallelamente alla tresca procede il piano infame per eliminare la vittima designata, il padre idealista, ingenuo, del tutto ignaro, che lui ha imparato ad amare e vorrebbe difendere, anzi salvare. Ma non sa in che modo; peggio, si considera inesorabilmente complice della madre dal momento che è tutt’uno con lei; al punto di sentirti pronunciare l’odiato verdetto di morte: “La sua sentenza fedifraga sembra provenire dalle mie labbra vergini. Mentre ancora si baciano, mia madre la dice nella bocca del suo amante. La prima parola del bambino. – Veleno.”

Il dado scellerato è tratto. Claude ha escogitato un atroce inganno per provocare il decesso del fratello senza lasciare tracce. I due amanti ne parlano insistentemente, mettono a punto i dettagli, sicuri di farla franca se riescono a non sbagliare una mossa. Nella esaltante associazione di amore e morte, la febbre dei sensi ha il sopravvento: “Docile, Trudy, si mette carponi. E’ un a tergo, una pecorina, ma non per amor mio. Come un rospo durante l’accoppiamento, Claude si incolla alla schiena di mia madre. Sopra di lei, e poi dentro di lei, fino in fondo. E’ così sottile la carne della mia infida madre che mi separa dall’aspirante assassino di mio padre.” Ottenuto il bieco piacere i due scivolano in un “gommoso annegamento”.

Trudy e Claude rappresentano un’umanità che non amiamo, in mezzo alla quale ci troviamo a disagio, a cui speriamo, ci illudiamo di non appartenere. E non soltanto per il delitto che i due sciagurati stanno per commettere – certo, anche per quello! – bensì proprio per come si offrono ai nostri occhi, per ciò che pensano, o non pensano, per l’opacità della loro natura, la trivialità del loro stile di vita, la totale assenza di un principio superiore, un qualsiasi slancio spirituale che ne riscatti l’irredimibile materialità. Tanto più fastidiosi quanto i loro ideali aderiscono come una seconda pelle ai modelli della società di massa pervasa da falsi idoli o da raffinatezze gastronomiche da rotocalco. A iniziare dalla scelta di vini altisonanti: assai apprezzato un “Cuvée les Caillottes Sancere Jean-Max Roger del 2010” di cui il feto, soggetto ai fluidi materni, si inebria suo malgrado, preoccupato di correre il rischio non secondario di “un abbassamento dell’intelligenza”. La dark lady è seducente ma di grana grossa: “Mi sforzo di vederla com’è, come deve essere, una ventottenne gravidicamente parlando matura, giovanilmente curva sul tavolo, bionda e trecciuta come una guerriera sassone, bella oltre la possibilità di una visione realistica, snella, a parte me, seminuda, colorita dal sole sulla braccia, con i gomiti poggiati sul poco spazio rimediato sul tavolo di cucina…”  Riuscirà il nostro eroe, al contrario del tormentato Amleto, a sventare il losco complotto delle due canaglie? Questo lo scoprirà il lettore, stupendosi ancora una volta all’intelligenza, alla ingegnosità narrativa, alla sapienza dello sguardo, di uno scrittore tra i più raffinati del nostro tempo. Il quale, attraverso il personaggio in procinto di nascere, scandaglia l’epoca in cui siamo e ce la dispiega senza riguardi; nel male, ma per onestà anche nel bene: “Che dire dei miracoli quotidiani che oggi farebbero di un qualunque manovale l’oggetto di invidia di Cesare Augusto?”  Rifugge dalle sterili geremiadi: “Il pessimismo assolve le classi dei pensatori dal compito di trovare soluzioni”.

Ogni pagina una rivelazione, come solo riesce ai grandi artisti. In generale tuttavia prevale un sentimento di disgusto:  “Claude le fa pressione sulle spalle, e lei si inginocchia, si abbassa, lo prende in bocca, come li ho già sentiti dire. Mi secca solo che quello che Trudy ingoierà sia destinato a raggiungermi sotto la forma di sostanza nutritiva, rendendomi un filo più simile a lui. Altrimenti perché i cannibali avrebbero evitato di mangiarsi gli idioti?”


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