Emilio Sereni: grandezza e controversie del PCI

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Non si può raccontare la vita e l’azione politica di Emilio Sereni, scomparso a Roma esattamente quarant’anni fa, se non lo si inquadra all’interno della complessa vicenda politica del PCI.

Saggista, storico, partigiano e poliglotta, protagonista della Resistenza nel CLNAI e ministro nei governi De Gasperi precedenti al bando dei comunisti imposto dall’America, fu uno dei pochi esponenti del partito a schierarsi apertamente dalla parte delle truppe sovietiche in occasione della repressione ungherese del ’56.
Senza dimenticare il suo essere ebreo e anti-fascista, giovane negli anni dell’ascesa di Mussolini e Hitler, più volte arrestato, costretto a fuggire esule in Francia e protagonista di un’esistenza drammatica, segnata da esperienze non solo politicamente ma anche umanamente devastanti, vittima di una persecuzione che lo colpiva da vicino, sia per via delle sue idee sia a causa della sua razza, in una tragedia personale e collettiva di proporzioni bibliche.
E Sereni non dimenticherà mai quegli anni, non dimenticherà mai quei tormenti, non riuscirà mai davvero a emanciparsi dal dolore e dalle sofferenze patite in gioventù e forse anche per questo scrisse a più non posso, si impegnò culturalmente fino allo spasimo e trasmise alla figlia Clara la medesima passione, benché i rapporti fra loro non fossero proprio idilliaci; anzi, diciamo che in una certa fase delle rispettive esistenze, negli anni della contestazione giovanile, a cavallo fra il ’68 e il ’77, furono apertamente conflittuali.
Perché Sereni, al pari di altri esponenti di primo piano del PCI, aveva sviluppato un rigore morale, un senso dello Stato e un’avversione nei confronti di qualsivoglia forma di avventurismo tali da condannare espressamente un certo movimentismo, vedendo in esso dei gravi rischi per la tenuta dell’ordine pubblico ed essendo preoccupato per la possibile deriva a destra, o addirittura verso un nuovo fascismo, cui determinate azioni avrebbero potuto esporre il Paese.

Un uomo di partito a tutto tondo: un comunista colto e ortodosso come pochi, fedele agli ideali della giovinezza ma, al tempo stesso, pervaso da un profondo senso del realismo e della tattica, strategicamente impeccabile e per questo difficile da comprendere in una stagione anarchica e individualista come quella attuale.
Un uomo d’altri tempi, un politico del Novecento, una persona perbene e un testimone dei suoi diluvi e delle sue rinascite, dei suoi sogni e delle sue tragedie, dei suoi slanci verso il futuro e dell’incubo costante di essere ricondotti verso un passato caratterizzato dal sangue e dall’orrore.
Sereni visse avendo come avversario se stesso e i suoi demoni, le sue contraddizioni, i suoi timori e le sue controversie. Visse credendo profondamente in un ideale e rimanendovi fedele fino alla fine. Fu un comunista a ventiquattro carati, una figura di intellettuale di alto profilo e, a modo suo, un idealista. Commise degli errori e li pagò in prima persona, assumendosi le proprie responsabilità e non chiedendo alcuno sconto. Per questi e mille altri motivi, in fondo, ci manca un personaggio così, raro come la tenacia con cui andò avanti nei momenti più difficili, senza mai esaltarsi, mantenendo una sobrietà e un senso della misura che oggi sono andati perduti, fragile nelle sue certezze pervase da mille dubbi, ricco di idee e di speranze che non sfociarono mai in un eccesso di ambizione personale. Una figura irripetibile e, proprio per questo, al netto dei suoi limiti, straordinaria.


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