Una stagione durata troppo a lungo

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Con la dipartita politica di Manuel Valls, sconfitto alle primarie del Partito Socialista da Benoît Hamon (nella foto), candidato della sinistra, possiamo dire che una stagione del mondo, e dell’Occidente in particolare, è definitivamente terminata.
Con Hollande costretto a non ricandidarsi a causa del proprio colossale fallimento, con i labouristi inglesi in mano al socialista Corbyn, con il processo di “pasokizzazione” cui stanno andando incontro tutti quei partiti della sinistra europea che si ostinano pervicacemente a non voler prendere atto del fallimento tanto del modello economico liberista quanto della sua variante gentile incarnata dall’abbaglio della Terza via e con un Partito Democratico americano che, se vorrà avere un domani e contrastare adeguatamente Trump, dovrà per forza di cose affidarsi alla sinistra di Sanders e di Lizzie Warren, in questo contesto storico, non sorprende nemmeno un po’ che Hamon, in contrasto con le dissennate politiche seguite in questi cinque anni dal duo Hollande-Valls e particolarmente abile nel denunciarne le catastrofiche conseguenze, al ballottaggio abbia sbaragliato il rivale con quasi il 60 per cento dei consensi.
Si è conclusa per sempre, si spera, una delle stagioni peggiori della nostra storia recente: il trentennio tragico dell’egoismo, dell’individualismo sfrenato, del thatcherismo disumano, dell’edonismo reaganiano foriero di disuguaglianze e malessere sociale, dell’incivile massacro di ogni forma di difesa dei diritti e della dignità della persona, di una globalizzazione priva di regole che ha prodotto, come ovvia conseguenza, chiusure nazionalistiche e pulsioni sovraniste, tanto pericolose e retrive quanto ineluttabili, e di una sinistra subalterna ai dogmi del liberismo arrembante e incapace di produrre una visione del mondo autonoma e radicalmente alternativa ad esso.

Addio, dunque, alle fole sul liberismo di sinistra, addio alle spinte verso il centro, dovute alla sciocca e ormai indifendibile convinzione che è lì che si vincono le elezioni, addio purtroppo al concetto stesso di ceto medio riflessivo, addio al mito dei moderati, addio insomma a tutte le certezze di cartapesta nelle quali ci siamo crogiolati per oltre un trentennio, producendo la peggior classe dirigente che si ricordi a memoria d’uomo, il cui declino deriva dal fatto che non hanno mai avuto e non avranno mai né la percezione di quanto siano insostenibili determinate idee né la capacità di elaborare un pensiero in controtendenza, in grado di spezzare le catene di un disincanto e di un desiderio sconfinato di riscossa degli ultimi e degli esclusi che costituisce il propellente di tutti i trumpismi contro i quali, giustamente, ci scagliamo in queste settimane.
Perché è inutile girarci intorno: da questa crisi di sistema, al termine della quale nulla sarà più come prima e tutto l’armamentario pseudo-culturale che ha innervato gli ultimi tre decenni somiglierà ad un fiore ormai appassito, o ne verremo fuori a destra, come purtroppo è accaduto negli Stati Uniti e rischia di avvenire in Francia e, forse, anche in Italia, o ne verremo fuori ricostruendo una sinistra degna di questo nome, come stanno provando a fare Corbyn, Sanders e ora lo stesso Hamon.
Valls ha perso perché era semplicemente invotabile; Macron sarà spazzato via già al primo turno dalla propria tracotanza e dal proprio programma che riecheggia quello del Clinton dei tempi d’oro, quando parlare di un partito trasversale rispetto ai due schieramenti storici, con ricette figlie dell’egemonia liberista, era considerata una garanzia di successo; Fillon rischia di essere penalizzato dalle discutibili vicende che vedono coinvolta la moglie ma, più che mai, dalla sua tragica idea di porsi nella scia della cosiddetta “droite thatchérienne”, con un programma elettorale che sembra fatto apposta per convincere i francesi indecisi ad orientarsi verso il fronte “Bleu Marine” della figlia del reduce di Vichy.

I ventenni che ieri festeggiavano nel comitato di Hamon, forti della terribile certezza che dovranno attraversare il deserto e tenersi pronti per le Presidenziali del 2022, in quanto in primavera la sfida sarà, come detto, fra la Le Pen e Fillon, peraltro con esiti imprevedibili, questi ragazzi esprimono comunque una coscienza civica invidiabile e un tasso di preparazione notevole e costituiscono, pertanto, una speranza concreta di rinascita e di ricostruzione di una prospettiva politica per il futuro della quale si avverte, più che mai, il bisogno.
Il vero errore, anzi direi, politicamente parlando, il crimine, di Hollande e Valls, al pari della Clinton, dei socialisti spagnoli, del PD renziano, dei tardo-blairiani inglesi e di tutti gli altri cantori fuori tempo massimo di una Terza via ormai ampiamente superata, fallimentare e fallita dappertutto, è stato proprio quello di non rendersi conto che in questi venticinque anni è cresciuta una generazione che si è vista privare di ogni diritto e che oggi avverte la ferma volontà di riappropriarsi di ciò che le spetta.
Sanders l’aveva capito, Iglesias, Tsipras e Varoufakis ci hanno provato e continuano a provarci, Corbyn si propone come l’alfiere della nuova sinistra e, a dispetto dell’età, migliaia di giovani sono corsi a riprendere la tessera del Labour per sostenerlo, ora ci prova anche Hamon, a dimostrazione, come detto, che una stagione si è definitivamente conclusa e che un’altra, ricca di incognite e, proprio per questo, estremamente affascinante, ha avuto inizio.


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