Populisti estremisti e miti

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La politica cambia continuamente pelle. Secondo Ignazio Silone lo «scontro finale» sarebbe stato tra comunisti ed ex comunisti. Per qualche tempo la storia sembrò dar ragione al politico e scrittore socialista, già comunista e poi fiero oppositore della dittatura sovietica e del Pci. Con la Seconda Repubblica alla fine è prevalsa la lotta tra berlusconiani e anti berlusconiani e ora si è affacciata la battaglia tra populismi differenti. Chi conta davvero nella politica italiana sono i vecchi e i nuovi populisti. Cacciano e ottengono voti su programmi e promesse popolari poi non mantenuti o rispettati solo in parte. Il nuovo scontro tra populismi diversi adesso c’è sul referendum del 4 dicembre. Beppe Grillo, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini sono schierati per il “no” alla riforma costituzionale del governo, Matteo Renzi è per il “sì”. Il garante del M5S, il presidente di Forza Italia, il segretario della Lega Nord e il presidente del Consiglio, pur da posizioni e con toni diversi, suonano tutti la tromba del populismo.

La chiusura di molte fabbriche in Italia, causata dalla globalizzazione e dalla Grande recessione internazionale del 2008, ha provocato laceranti ferite sociali. La disoccupazione e il precariato hanno colpito duramente i lavoratori. La disperazione degli operai (sono ancora 8 milioni tra industria e servizi nel nostro paese) e l’impoverimento del ceto medio impaurito non hanno avuto adeguate e convincenti risposte dalla sinistra, così il populismo ha fatto breccia.

Grillo e Salvini sono dei populisti estremisti dai toni aggressivi. Berlusconi e Renzi, invece, si dichiarano riformisti, tuttavia usano tecniche tipicamente populiste. Grillo, fondatore dei cinquestelle per metà di sinistra e per metà di destra, non nasconde di essere un populista, anzi lo ha rivendicato. Due anni fa dichiarò in una conferenza stampa alla Camera: «Sono fiero di essere populista». Attacca la Germania, vorrebbe uscire dall’euro, intende chiudere l’accesso agli immigrati stranieri, propone il reddito di cittadinanza. Giudica “morti” i partiti tradizionali, punta il dito contro “la dittatura dolce” di Renzi, si considera l’unico baluardo contro l’estrema destra e “il nazismo” che sta vincendo in Europa. L’obiettivo è dare una spallata al sistema politico a colpi di “vaffa…” e con una opposizione totale vuole conquistare il governo.

Salvini cerca di ottenere la guida del centro-destra. L’anno scorso in un comizio a piazza del Popolo a Roma ha proclamato: «Io sono un populista». Ha come modello e alleata la post fascista Marine Le Pen in Francia. Rivendica il recupero della piena sovranità dell’Italia dall’Unione europea, lo sganciamento dall’euro, la chiusura delle frontiere agli immigrati, una opposizione con “la ruspa” per abbattere Renzi. Ha iniziato a trasformare la Lega Nord da partito localista delle regioni ricche del settentrione in una forza nazionale di destra.

Berlusconi aborre l’estremismo, non si è mai dichiarato populista, ma è stato prodigo nel promettere a imprenditori, lavoratori autonomi e dipendenti “meno tasse, meno sindacati, meno Stato” e “più sviluppo”. Nel 1994 divenne presidente del Consiglio teorizzando “la rivoluzione liberale”,  ergendosi a difensore dei “moderati” e divenendo leader di un centro-destra unito. Fu tra i fondatori della Seconda Repubblica all’insegna del bipolarismo e della “religione” del sistema elettorale maggioritario. Accusa di essere stato vittima di “cinque colpi di Stato” da parte della sinistra e di una parte della magistratura. Attacca il presidente del Consiglio e segretario del Pd perché si muove per essere “un uomo solo al comando”, ma non esclude la possibilità di definire nuove intese istituzionali.

Renzi, da quasi tre anni al governo, si presenta come il campione del riformismo contro il populismo. Si vanta di essere il segretario del “più grande partito riformista dell’Europa”, il Pd. Ha avviato un programma di riforme strutturali attaccando “i gufi”,  “i tecnocrati”, “i frenatori” europei ed italiani. Si vanta di aver cominciato a ridurre “le tasse”, di aver conseguito una ripresa economica sia pure debole, di combattere la disoccupazione e la politica di rigore europea voluta dalla Germania. Annuncia nuovi tagli alle imposte nel 2017 per favorire i consumi e la ripresa. Respinge come folli le accuse di essere un dittatore e rivendica, da presidente del Consiglio, di essere l’artefice dello lotta alla “Casta” della politica e della burocrazia. Ora ha confessato a ‘Repubblica tv’: «Sono un populista mite».

In passato lo scontro politico in Italia era tra sinistra e destra, tra riformisti e rivoluzionari, tra populisti e anti populisti. Adesso, invece, la partita si gioca tra populisti estremisti e populisti miti. Il populismo non è un fenomeno nuovo. Varie forme di populismo si sono affermate in Europa e in Sud America in situazioni di forti crisi e di transizione politica. Pur nelle varie differenziazioni, i populismi hanno avuto in comune una leadership carismatica, basata sull’esaltazione demagogica delle capacità e qualità delle classi popolari. Molte volte i movimenti e i partiti populisti hanno avuto una vita effimera, altre volte hanno avuto esiti tragici con sbocchi autoritari.
La crisi italiana offre ampi spazi di manovra al populismo. Soprattutto il Sud, sempre più depresso e abbandonato a se stesso, è una polveriera a rischio di esplosione. Tuttavia nel Mezzogiorno continua a mancare un’azione minima di sviluppo e la politica si limita a correre dietro ai problemi quando scoppiano provocando danni enormi: è il caso dell’Ilva di Taranto, l’acciaieria più grande d’Europa, un tempo un gioiello della siderurgia nazionale.


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