Veltroni-D’Alema. Rottamati divisi

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Duellanti da giovani e da anziani. Walter Veltroni e Massimo D’Alema sono rivali dal 1991, da quando Achille Occhetto sciolse il Pci dopo il crollo del comunismo e fondò il Pds. La prima battaglia se l’aggiudicò D’Alema, vittorioso nella sfida per succedere ad Occhetto alla segreteria del Pds.

La sfida interminabile tra i due “cavalli di razza” del Pci-Pds-Ds-Pd da allora non si è mai interrotta. Continuano a parlare lingue diverse. Trent’anni fa si davano battaglia per conquistare la leadership del partito, poi si sono scontrati sull’identità politica (liberaldemocratica o socialdemocratica?) della forza post comunista erede del Pci. Adesso i due “Rottamati” da Matteo Renzi si dividono sul presidente del Consiglio e su come votare il 4 dicembre nel referendum sulla riforma costituzionale del governo.

Veltroni, sostenitore misurato del presidente del Consiglio e segretario del Pd, ha invitato a votare “Sì” al referendum. A pochi giorni dalla consultazione popolare, ha annunciato a sorpresa il sostegno alla riforma del “Rottamatore”:«Non condivido questo clima da guerra civile sul referendum, io voterò a favore della riforma costituzionale». Il fondatore e primo segretario del Pd  ha indicato tre motivi per votare “Sì” alle urne: 1) «C’è bisogno di innovare una bella Costituzione come la nostra», 2) è «molto angosciato dalla crisi della democrazia», 3) se vincesse il “No” si aprirebbe «un momento di instabilità molto pericoloso per l’Italia». Negli ultimi due anni ha appoggiato l’impostazione renziana di allargare i consensi del Pd verso gli elettori del centro-destra e dei cinquestelle, l’idea del cosiddetto Partito della nazione. Però ha sollecitato Renzi ad «aver cura della storia della sinistra».

È un bel colpo per Renzi il “Sì” di Veltroni. Gran parte delle sinistre democratiche ex Ds, invece, hanno deciso di votare “No” al referendum come le opposizioni. Solo da poco e, con qualche dubbio, Gianni Cuperlo ha annunciato il suo “Sì” dopo l’impegno di Renzi a cambiare l’Italicum, la nuova legge elettorale maggioritaria. Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza e Massimo D’Alema sono schierati con decisione per il “No”.

L’ex presidente del Consiglio, già segretario del Pds-Ds, è tra i più determinati: da mesi dà battaglia contro la riforma della Costituzione. I motivi sono contrapposti a quelli di Veltroni: la ritiene una riforma sbagliata «perché riduce gli elementi di controllo democratico e -combinata con l’Italicum- trasforma il Parlamento nella falange di un capo». Un’altra contestazione è la deriva di Renzi verso il centro-destra: così «una parte molto grande dell’elettorato di sinistra non si riconosce più nel Pd». Di qui l’accusa al premier-segretario: «Non si è limitato a rottamare un gruppo dirigente; sta rottamando alcuni milioni di elettori».

D’Alema e Veltroni ancora una volta sono su sponde opposte e invocano scelte diverse alle urne, sempre per difendere la democrazia. Il loro duello è antico: dopo la svolta di Achille Occhetto per chiudere il Pci e costruire il Pds, il primo sconfisse il secondo nella corsa alla segreteria. Successivamente lo scontro fu tra la metamorfosi socialdemocratica e quella liberaldemocratica; tra l’Europa dell’Internazionale socialista cara a D’Alema e l’America kennedyana cantata da Veltroni. Una volta trionfò l’uno, un’altra volta l’altro. D’Alema divenne segretario del Pds, dei Ds, presidente del Consiglio, ministro degli Esteri. Veltroni fu eletto segretario dei Ds, del Pd, fu nominato vice presidente del Consiglio, ministro della Cultura, due volte divenne sindaco di Roma. Ma alla fine la lunga disputa tra i due ex giovani centristi berlingueriani del Pci fu vinta da un terzo uomo: l’ex democristiano Romano Prodi, il professore che teorizzò e costruì prima l’alleanza vincente dell’Ulivo e poi quella  del Partito democratico.

Prodi diede la bussola ai due competitori mentre Renzi li ha relegati in un ruolo marginale. Il giovane “Rottamatore” di Firenze, segretario del Pd dalla fine del 2013 e presidente del Consiglio dall’inizio del 2014, ha rinnovato larga parte della vecchia classe dirigente del Pd: in testa D’Alema e Veltroni. I due “rottamati” non sono più deputati, non hanno più né incarichi nel partito, né nel governo, né nelle istituzioni internazionali europee o dell’Onu. Però Veltroni, in maniera defilata, sostiene il “Sì” del “Rottamatore” al referendum; D’Alema, invece, è in prima linea nella lotta contro Renzi in favore del “No”.

Per Renzi la battaglia sul referendum è un po’ meno ardua, ma resta difficilissima da vincere. Ha contro tutte le opposizioni (M5S, Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia, Sinistra Italiana, centristi minori) e una parte delle minoranze democratiche che hanno rivendicato “libertà di coscienza” nel referendum per modificare la Costituzione.

Lo scontro rovente da scelta di civiltà è anche il frutto derivante dall’impostazione leaderistica e personalista imposta dal presidente del Consiglio alla campagna elettorale: il “Sì” o il “No” più che ai contenuti della riforma sono all’azione di governo e allo stesso Renzi. I sondaggi elettorali continuano a dare il “No” in vantaggio, ma la scelta finale degli indecisi potrebbe essere determinante. Questo è un referendum molto somigliante a delle elezioni politiche. Il presidente del Consiglio-segretario continua ad essere ottimista: «Per me la maggioranza silenziosa voterà “sì”… Secondo me vince il “Sì”».


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