Sotto lo slogan, niente

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In questi giorni siamo sottoposti a una campagna martellante su social network, talk show televisivi, grande stampa, radio private e governative, riguardo i millantati benefici che la riforma costituzionale, di cui referendum del 4 dicembre, apporterebbe al paese. Pura propaganda, così come appare tendenzioso il testo del quesito referendario, già sottoposto al vaglio del TAR, che sembra identificare nei tagli proposti, la panacea ideale.

Eppure, non c’è nulla in tale testo, che indichi una riduzione dei privilegi, quali vitalizi e indennità, o sui numeri reali del risparmio, in base alle modifiche annunciate.

La riforma è incentrata sul nuovo Senato, composto di 95 membri scelti tra consiglieri e sindaci, a rappresentanza della potestà legislativa delle Regioni, in materia di controllo territorio, sanità, scuola, infrastrutture e decreti finanziari. L’autonomia decisionale di tale organo a livello regionale interviene anche sui disegni di legge nazionali.
Difatti, la Camera ha l’obbligo di presentare al Senato le proposte di legge, che possono essere modificate, e rimandate alla Camera per l’approvazione definitiva, vincolando tale decisione in tempi brevi.
Tali modifiche sono prioritarie, se approvate dalla maggioranza assoluta dei senatori, e possono essere emendate dalla Camera solo con votazione a maggioranza assoluta. Altri cinque senatori sono eletti direttamente dal Presidente della Repubblica per la durata di sette anni, non rieleggibili.

Le Province sono abolite, per cui a livello amministrativo, le regioni hanno controllo assoluto. Si veda art.117 nella parte finale del testo.
Tolte alcune virtuose, come Emilia, Marche, Umbria e Toscana, dal Nord fino all’estremo Sud la maggior parte dei consigli regionali ha subito inchieste per corruzione e mafia. Cosche mafiose e lobbies, sono infiltrate profondamente nel tessuto regionale e comunale.
La nuova potestà regionale, che si eleva al massimo grado del Senato, dà a costoro un’occasione storica, per incrementare i propri traffici e coperture.

Il filtro di controllo governativo, è previsto solo per casi eccezionali, si veda note in fondo al testo di legge. Riguardo all’abolizione dell’articolo 99 e del conseguente scioglimento del CNEL (Consiglio Nazionale Economia e Lavoro) l’atto è appena menzionato nel testo di modifica, e non si cita né il commissario straordinario che dovrebbe assumere in solitudine la funzione espletata finora dai 65 membri (i quali hanno sia compiti consultivi che di iniziativa legislativa) né tantomeno il fatto che codesti consiglieri sarebbero ricollocati alla Corte dei Conti, per cui lo strombazzato risparmio si azzererebbe; questo taglio appare in realtà come un gioco delle tre carte, malamente camuffato per giunta.

Senza togliere che, accentrare in una singola figura istituzionale nuove riforme sul lavoro, rischia di esacerbare un conflitto già esistente, dopo l’abolizione dell’articolo 18, che ha ulteriormente avvantaggiato Sergio Marchionne nel rapporto con i sindacati.
Un favore che l’Ad di Fiat-Chrysler non sembra ricambiare, viste le sue ribadite intenzioni di voler trasferire il grosso della produzione in Cina.

Recenti rilievi ISTAT hanno denunciato impietosamente il mancato beneficio dei voucher, sia a livello incentivi a lungo termine per le assunzioni, che come freno per il lavoro sommerso, fermamente ancorato intorno ai 200 miliardi. La vera riforma dovrebbe ripartire da questo deserto dei tartari. Sommerso ed evasione fiscale, sono i veri obiettivi sui quali puntare, ai fini di realizzare quei numeri che servono al Paese.


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