92 reporter italiani nel mirino nel 2016

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“Questo è ciò che mi emoziona, e non è in linea con i fatti. Quindi sono i fatti ad essere sbagliati. Ecco quello che abbiamo visto in alcune delle ultime elezioni in tutto il mondo”: Frans Timmermans e’ il numero due della commissione e spiega in questa maniera perche’ l’Europa  – per il suo annuale appuntamento sui diritti fondamentali – nel 2016 ha scelto di concentrarsi sul diritto all’informazione. Vale a dire il diritto a ricevere notizie, e non solo opinioni che – notoriamente – costano molto di meno. Ed il diritto a cercarle,  le notizie, evitando le pressioni che – sui giornalisti – sono ovunque sempre maggiori. “Essere un reporter e’ diventata una delle professioni piu’ pericolose al mondo” spiega ancora il vice di Juncker.

E per essere fedele alle sue premesse conforta questa opinione con dei fatti. Le minacce sono sempre piu’ consistenti, anche nel vecchio continente, e l’Italia e’ in testa alla classifica compilata dall’agenzia europea per i diritti fondamentali. Nel nostro paese  – durante i primi nove mesi di quest’anno  – sono gia’ 92 i reporter messi nel mirino, soprattutto dalla criminalita’ organizzata. Segue la Francia con 55 casi, poi la Polonia con 29 e l’Ungheria con 28. Ma nell’Europa dell’est si tratta di una minaccia diversa: i governi sono sempre piu’ insofferenti nei confronti dell’opposizione. Cosi’ giornali e televisioni che le danno spazio – oltre ad essere intimiditi – sono spesso “comprati e venduti”.  Soprattutto magnati ambiziosi di fare affari con denaro pubblico. Che non vogliono diventare editori ma piuttosto soffocare voci scomode. Cosi’ licenziano giornalisti e tecnici. Ed in cambio hanno  poi la riconoscenza dei potenti. Infine l’ultima insidia, di cui Timmermans racconta di fare personalmente l’esperienza attraverso i social.

“Non c’e’ la volonta’ di dialogo. Ma solo di insultare. E cosi’ si finisce per parlare solo alle persone con cui sei gia’ d’accordo”.  Ma cosi’ – secondo il vicepresidente della commissione – sono guai non solo per l’informazione. Ma anche – e soprattutto – per la democrazia.


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