Marcinelle, 60 anni fa la strage di lavoratori nelle viscere della terra

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“Italiani imbecilli”, “musi neri”, “sporchi maccaroni”. I belgi non ci amavano e ci trattavano come prigionieri della guerra. Era questa la realtà che, i nostri connazionali, vivevano a Marcinelle. Complice un accordo politico siglato nel 1948 dai governi di Roma e di Bruxelles che condusse, sulla scorta di fame e disperazione post guerra, migliaia di nostri connazionali a lavorare nelle miniere del Belgio. Noi avevamo la mano d’opera (le “braccia”) e loro le risorse (“il carbone”), era questo l’assunto.

Così iniziò la storia (drammatica) di 136 italiani, costretti a lavorare giorno e notte in cunicoli alti appena 50 centimetri a più di mille metri dentro le viscere della terra. Cantine, baracche di legno e lamiera, nei fatti ex campi di prigionia: nel protocollo italo-belga erano queste le abitazioni dei minatori italiani. Ed i nostri connazionali, quasi 77mila in tutto, non si risparmiavano mai, pur di lavorare.

Alle 8.10 dell’otto agosto del 1956 accade l’inferno di Marcinelle: scoppia un incendio a meno 975 metri nella miniera di carbone del Bois du Cazier, nel bacino carbonifero di Charleroi. In quel momento, sono 275 gli uomini che sfidano il destino, per un tozzo di pane. E di questi solo 13 riusciranno a salvarsi. La macchina dei soccorsi farà registrare dei colpevolisti ritardi e per due settimane si continuerà ad alimentare la speranza, fino a quando, il 23 agosto, vengono dichiarati “tutti morti”.
Nelle viscere della terra rimarranno intrappolati 136 italiani. Da quel giorno ricorre la “Giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo”.


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