Da Marx a Chicago-boy, le metamorfosi di un Rivoluzionario

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Quel paese colpiva per l’ingenuità di tanta sua gente. Dopo decenni di prepotenza sprezzante e sfruttamento disumano, terremoti, guerra e sempre miseria, allo sconosciuto incontrato lungo la strada non negava un sorriso, triste però aperto. Il comandante del pattuglione anti-contras che con il cameraman della Rai Mario Sanga seguivamo per gli aspri saliscendi delle colline al confine con l’Honduras si chiamava Ulisse, perché il padre aveva imparato a leggere sull’Odissea, unico libro avuto tra le mani nella vita: “Mia madre, invece, non ha mai imparato…”. Una notte, la contadina svegliata dal calpestio dei soldati che scaricavano armi e zaini sotto gli alberi attorno all’aia della sua abitazione per un breve riposo, ci ha regalato mezzo uovo ciascuno: 14 tuorli rossi del mais mangiato dalle galline, non facili da dividere.

Ulisse ordinò di darle in cambio 6 scatole da 200 grammi di sarde con tanto di stampigliatura “Made in USSR”. Dall’Unione Sovietica non arrivavano solo mitragliatori AK47. Poi permise che il giovanissimo soldato con la testa rasata a zero che in marcia chiudeva la fila, il posto più pericoloso in caso d’imboscata, entrasse in casa con la donna. Ci rimase almeno un paio d’ore. Cominciava a schiarire quando riapparve per caricarsi sulle spalle la mitragliatrice 35 millimetri che con il treppiedi faceva il carico più pesante trasportato dal plotone e riprendere il cammino. Un comportamento strano. Stanco delle mie insistenze, Ulisse ci disse solo il giorno dopo che il ragazzo era in punizione per aver tentato di disertare e quella donna che per noi aveva svuotato di uova il pollaio era sua madre.

Era la vita nelle campagne del Nicaragua, anni Ottanta del secolo scorso. Il dittatore Anastasio Somoza, laureato generale a West Point, non era ancora saltato in aria per la trappola al tritolo di un artificere dell’ ETA basca ad Asuncion del Paraguay. Ma già era stato messo in fuga dai sandinisti e la prima libera consultazione popolare del Nicaragua aveva eletto il comandante Daniel Ortega, 39 anni, alla presidenza della Repubblica. Nella speranza di rovesciarlo, Ronald Reagan e il suo colonnello Oliver North trafficavano fondi neri e armi con l’Iran per finanziare i contras, i cui sabotaggi costarono migliaia e migliaia di morti. Augusto Sandino, un Garibaldi nica assassinato negli anni Trenta, era l’icona del paese centro-americano che sull’esempio cubano si era reso indipendente:”poveri ma liberi!”, si sentiva gridare per le strade. Un armonico sviluppo restava però la sfida decisiva.

Una sfida perduta, insieme all’ingenuità e a un’idea semplice della vita. A riassumerla è oggi la biografia di Daniel Ortega, che certo non appare il satrapo gaudente e cinico che fu Somoza, ma neppure il leader che sbandierava uguaglianza e fraternità. Alterne vicende d’un paese arretrato e privo di grandi ricchezze naturali, l’hanno riportato una volta ancora al governo e lui che ha ormai scavalcato i settant’anni non rifiuta il potere assoluto con relativi privilegi personali, lussi e nepotismi. Una Corte Suprema a dir poco ossequiente gli ha spianato la strada, scompaginando l’opposizione parlamentare con una sentenza che nega i diritti politici al suo massimo esponente, Eduardo Montealegre, e ai suoi alleati, tra i quali non pochi ex sandinisti. E il Tribunale Elettorale ha fatto decadere i 20 deputati che tentavano di resistere al diktat. Al loro posto, sol che lo voglia, Ortega potrà far nominare il suo cavallo.

Egli ha assunto il controllo di fatto dell’economia nazionale sistemando parenti e amici fidati nei posti-chiave delle aziende di stato. I figli dirigono quelle dell’energia, che grazie ai finanziamenti generosi del Venezuela attraverso l’export di petrolio a prezzi preferenziali ne sono divenute gli assi portanti. La loro madre, Rosaria Murillo, primera dama della nuova nomenklatura sandinista, controlla l’intera amministrazione pubblica. Di fatto esercita già una vicepresidenza per la quale sollecita al marito il riconoscimento formale. Ci sono un paio di nipoti tra i responsabili dell’ente che promuove l’edilizia popolare anche attraverso appalti a privati. Nella sua versione micro, il modello richiama l’ibrido sistema della Cina popolare. Con il colore e il clima sub-tropicale, le imponenti residenze con piscine e spiagge riservate, le auto di grande cilindrata importate e perfino qualche sfilata di moda presentata come il tentativo di sostenere l’industria tessile.

Il tesoriere del partito sandinista, Francisco Lopez, ha creato una serie di società collegate che controllano industria del turismo, attività bancarie, giornali, stazioni radio e TV. “Le cose non vanno male”, dice un altro comandante storico, Bayardo Arce, citando il pronostico della Banca Mondiale che accredita per quest’anno al PIL del Nicaragua un incremento del 4,2 per cento, tra i maggiori dell’America Latina. “Le cose forse no, ma le persone, il popolo…come stanno? Qualche volte vi ricordate di loro?”, gli replicano molti compagni d’un tempo: Sergio Ramirez, ex vicepresidente, il poeta e teologo Ernesto Cardenal, Maria Dora Tellez, Carlo Ferdinando Chamorro, passati ormai all’opposizione frontale. Le battaglie storiche del sandinismo contro corruzione, conflitto d’interessi, per la crescita dei cuori e delle menti, restano appena scaramucce che qualche eroe combatte nelle retrovie.

*ildiavolononmuoremai.it       


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