Migranti, l’accordo che imbarazza l’Ue. La Turchia è un paese sicuro?

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Dopo il tentativo di golpe nel paese è in atto una dura repressione e si parla di reintrodurre la pena di morte. Può il governo Erdogan essere considerato un partner sostenibileper risolvere l’emergenza profughi? L’opinione del Cir e di Asgi

ROMA – Dopo il tentato golpe del 15 luglio, in Turchia è in corso una durissima repressione: sono stati arrestati circa seimila militari e ottomila agenti di polizia, tremila giudici sono stati sospesi e violazioni dei diritti umani sono state perpetrate ai danni di rappresentanti della società civile. Il presidente Erdogan ha annunciato di voler fare pulizia all’interno delle istituzioni e non si esclude anche la reintroduzione della pena di morte nel paese. Una situazione che preoccupa l’Unione europea e che ha riacceso il dibattito sulla possibilità di far entrare la Turchia in Europa. Non solo, ma da marzo 2015 è in atto tra Ue e Turchia il deal che riguarda i migranti e i richiedenti asilo. Un accordo già ampiamente contestato da tutte le organizzazioni umanitarie  e che oggi torna a far discutere. Può un paese che non rispetta i diritti umani e che sta attuando vere e proprie “purghe” di massa essere ancora considerato un partner con cui risolvere l’emergenza profughi?

Cir: “Turchia non è un paese terzo sicuro, l’accordo va superato”. Secondo Chrsopher Hein, portavoce del Consiglio Italiano rifugiati (Cir), l’Europa deve far un passo  indietro, per quel patto sono venuti meno tutti i presupposti e dunque va superato. “L’accordo tra Ue e Turchia non è un vero e proprio trattato internazionale, non ne ha la natura giuridica – spiega Hein -. E’ un’intesa politica che si può sciogliere senza formalità, e che a nostro avviso va sciolta, perché si basa sulla considerazione che la Turchia sia un paese terzo sicuro, in cui possono essere legalmente rimandati indietro i rifugiati dalla Grecia. E’ chiaro che questo presupposto, su cui ci siamo espressi negativamente in passato, oggi non è più sostenibile. La Turchia non è un paese terzo sicuro e dunque anche l’accordo con l’Ue deve venire meno”. Secondo Hein, inoltre, sarebbe quantomeno imbarazzante per l’Europa autorizzare il pagamento dei sei miliardi di euro previsti dall’accordo a un paese che sta attuando una repressione tanto cruda. “Tra l’altro oggi ci si domanda se i rifugiati che sono in Turchia, e che sono circa tre milioni, si sentono sicuri – continua il portavoce del Cir -. Sull’altro fronte, quello dell’accordo, va detto che finora il numero delle persone effettivamente respinte è molto residuale: circa 380 da aprile. L’unico reale effetto è stato quello deterrente: e cioè scongiurare la partenza dei rifugiati dalla Turchia. Nei fatti ha funzionato: il numero degli arrivi sulle coste greche è drammaticamente diminuito”.  Proprio perché a livello politico un risultato tangibile c’è stato: con la diminuzione dei flussi e delle domande di asilo in alcuni paesi, tra cui soprattutto la Germania,  potrebbe però essere difficile per l’Ue superare l’abbraccio mortale con la Turchia. “Per la Merkel e altri leader europei questo deal è stato particolarmente importante, oggi abbandonarlo  potrebbe essere politicamente molto difficile-conclude Hein-. In questo momento l’Europa non ha un piano b.  Quindi molto dipenderà dalle reazioni che ci saranno al Parlamento europeo. E’ comunque alquanto paradossale dire che la Turchia non entrerà in Europa se reintroduce la pena di morte, ma continuare a rimandargli indietro i rifugiati”.

Asgi: “Ergodan rimane partner imbarazzante ma necessario per Ue”.  Anche secondo Chiara Favilli, esperta di diritto comunitario e membro di Asgi (associazione studi giuridici per l’immigrazione) tutta la partita si gioca sul piano politico. “La Turchia è da sempre un partner scomodo per l’Europa, anche prima di questa strategia di repressione, che per ora sta interessando cittadini turchi e non i profughi, la libertà di stampa non era garantita, così come il dissenso – sottolinea-. Molte organizzazioni umanitarie hanno più volte evidenziato come il paese non fosse in linea con il sistema dei diritti fondamentali europei. Ma la posizione degli stati è sempre stata ambigua anche perché la Turchia  fa parte del Consiglio d’Europa. Per questo motivo finora sono stati stretti diversi accordi commerciali e da ultimo quello sull’immigrazione. Bisogna dire, inoltre, che sul piano della valutazione, l’accordo Ue-Turchia sui rifugiati, ha fatto diminuire drasticamente gli sbarchi sulle coste greche, ciò significa che la Turchia ha portato avanti un’attività forte di contenimento delle partenze, cosa che prima non faceva – continua Favilli -. E dunque l’Unione europea ha ottenuto il risultato sperato. Sarà molto difficile ora farne a meno, l’Europa è in una situazione di debolezza. E’ scandaloso, ma per ora la priorità è quella di bloccare i flussi, quindi la Turchia anche se è imbarazzante, oggi è un partner necessario”.
L’esperta Asgi ricorda, inoltre, come non sia la prima volta che gli stati membri stringono accordi con regimi dittatoriali o governi discutibili.

“L’Italia lo ha fatto con la Libia – afferma- e oggi nell’Unione si parla di estendere il modello dell’accordo con la Turchia ad altri stati, specialmente quelli subsahariani, per far sì che ci siano sempre meno flussi di migranti. Non importa se si tratta di governi che applicano misure agghiaccianti dal punto di vista della tutela dei diritti umani”. La risposta che manca, invece, è quella dell’accoglienza: “si sarebbe dovuta portare avanti una grande operazione umanitaria per i rifugiati e invece si è preferito un accordo che ha lo scopo di interrompere il flusso e tenere il problema dei profughi lontano da casa nostra – conclude Favilli -. Nei fatti è risultato efficace per l’Europa, ma non per i siriani, molti dei quali oggi restano bloccati in Grecia. In ogni caso, con il fallimento del golpe e il mantenimento dello stesso governo Erdogan non vedo per il momento la possibilità che l’accordo venga sospeso, anche se si tratta di un partner oggi molto scomodo”. (Eleonora Camilli)

Da redattoresociale


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