Chi può fermi la Renzi’s band. Gli elettori sono avvertiti, intanto filino dritti nei ballottaggi, tutti i conti si faranno col referendum

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Di Alessandro cardulli

Verrebbe da chiedersi se ci voleva una strage orrenda come il massacro di Orlando perché Repubblica trovasse il coraggio di non consegnare  l’apertura del giornale a Renzi Matteo, con qualche frase ad affetto da lui pronunciata in una delle sue tante tappe elettorali. Una volta è la ingovernabilità del Paese se al referendum costituzionale i cittadini decideranno per il no, un’altra  annuncia che  lui non è per niente attaccato alla poltrona, due mandati e via ed è pronto a fare una legge. Ancora, per quanto riguarda l’Italicum,  risponde a Scalfari nel lungo e, ci scusi  il fondatore  di  Repubblica, poco interessante “dialogo”, comunque, per non offendere il grande giornalista maestro per molti di noi, poco “accattivante”, che l’Italicum non gli piace. Claudio Tito, capo della redazione politica, addetto alle domande,  ma evidentemente, non interloquisce. Caso mai il premier, che si racconta quanto mai permaloso, non la  prendesse di traverso.

A  Scalfari va bene “l’uomo solo al comando”. Lo richiede la società globale

Scalfari fra l’altro gli procura un gran godimento quando afferma che “come giornalista scrivevo che era una vergogna che Renzi comandasse da solo, ma recentemente su questo punto sono diventato ‘renziano’: con le complessità che ci sono attualmente e in una società globale il capo del governo in tutti i paesi importanti comanda da solo”. Ma quando mai, verrebbe voglia di chiedere al nostro decano? Poi dice che è favorevole a cambiare la Costituzione ma “con l’Italicum questa Camera è in parte nominata. Per questo sono per votare no al referendum. Qualora la legge elettorale venisse cambiata voterei sì”. Sembra di sentir parlare uno della minoranza del Pd. Certo cambiare l’Italicum è importante. Ma ce sono molte altre cose da cambiare. In un recente passato, dice lui stesso, la pensava diversamente. Però, precisa, da giornalista. Ora in che veste parla? Ancora: incassa senza batter ciglio, lui, acerrimo sostenitore dell’ Europa  unita, il fatto che Renzi dica se  la  Gran Bretagna esce dalla Unione europea “ci saranno turbolenze finanziarie e sarà un disastro per gli inglesi. Sul medio e lungo periodo, invece non ho una visione apocalittica, per l’Italia e per l’Europa non sarà un dramma”. Tanto che nell’edizione di lunedì del quotidiano su carta queste “turbolenze” scompaiono. Meglio non disturbare troppo gli elettori. Anche perché tutti questi problemi non hanno niente a che vedere con il voto dei ballottaggi, un voto “locale”.

Con i ballottaggi vuol far capire chi tiene il coltello dalla parte del manico

In realtà Renzi sa bene che la partita si gioca già oggi, far capire chi comanda ai  milioni di cittadini chiamati a decidere chi sarà il sindaco significa essere a metà dell’opera. Certo, come dice lui, ci mette la faccia. Mentre economisti, politici, ministri, grandi organizzazioni sociali, i media esprimono preoccupazioni molto forti, si parla di disgregazione della Ue, di possibile ritorno di una crisi che fa ancora sentire i suoi effetti sui paesi più deboli, e l’Italia è fra questi, si mostra certezza che sono cose che non ci riguardano. Forse glielo hanno suggerito gli illustri economisti che lo circondano, da Nannicini, il “suo” sottosegretario, a Taddei il responsabile economico del Pd.

Niente viene lasciato di intentato perché tutta l’attenzione venga spostata  verso il referendum di ottobre. Ancora Renzi: afferma che se non passa la “deforma” costituzionale in Europa non ci considera più nessuno. Una solenne sciocchezza, chissà chi glielo ha suggerito. Oppure no, è proprio così.  Allora vuol dire che ha preso impegni di altra natura,  non sul fatto che il Senato sia formato o meno da eletti dai cittadini o da sindaci e consiglieri. E se ci sono impegni quali sono? Già altri governi hanno ricevuto “letterine” dalla Ue, concordate. Per poi dire che non potevamo fare altro, che l’austerità era una necessità. Dice Renzi  Matteo che non  vuole entrare nel merito della campagna elettorale. A Roma riguarda  i romani, se la vedano loro, così i milanesi, i torinesi, i napoletani, i bolognesi. Pd? Cinque stelle? Ma no, lui pensa che il Pd se la vedrà con il centrodestra. Un nuovo nazareno è sempre possibile. Che i ragazzi si sfoghino pure. Ma non troppo. Parlano i media a conclusione di “faccia a faccia” a nostro parere sbiaditi, noiosi, ripetitivi, di “scintille”, “scontri”, “risse”. Senza offese  per  i protagonisti, non troviamo di meglio che dire “scoglionati.”  A riprova leggiamo sull’Unità la “riflessione” di una pentita di aver votato  la lista con candidato sindaco Stefano Fassina. Ora annuncia che voterà Giachetti perché “è più disponibile al confronto”. Un confronto, verrebbe da dire, non si nega a nessuno.

Una campagna “scoglionata”.  Toni bassi, pochi bisticci. Al premier va bene così

Al premier va bene così, toni bassi, problemi reali delle città, del Paese quindi, bisticci locali, quasi da comari, ci scusino se ce ne sono ancora. Il suo “disinteresse” in realtà è un interesse grande che non può che preoccupare. È un monito, un avvertimento per l’elettore: comportati bene, perché se non lo fai già ora, il rischio è che ad ottobre il paese sia ingovernabile. E dopo di me il diluvio. Chi può, fermi la deriva autoritaria della Renzi’s band prima che sia troppo tardi. Pensate, la numero due, la ministra Boschi a domanda: sarà lei la vicesegretaria unica del Pd, risponde: lo deciderà Renzi. Non il partito, la direzione, un organismo insomma. No, Lui, con la maiuscola, magari. Una storia già sentita, già  vista.

Da jobsnews


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